A rischio l’alleanza medico-paziente

Dopo circa un anno di lavoro, la commissione Affari sociali della Camera dei deputati ha presentato in aula una proposta di legge su «Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento».

Dopo circa un anno di lavoro, la commissione Affari sociali della Camera dei deputati ha presentato in aula una proposta di legge su «Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento». Affronta una questione drammatica ma quanto mai importante: la scelta dei trattamenti per il fine vita, un momento in cui il rispetto della dignità del paziente e la cura attenta delle sue esigenze sono determinanti, il segno della civiltà di un Paese.

La proposta in questione non apre all’eutanasia, né al suicidio assistito, ma nei suoi 6 articoli pone l’attenzione sull’autodeterminazione del paziente che, in pieno possesso delle sue facoltà, disponga di non essere soggetto a determinati trattamenti compresi l’idratazione e l’alimentazione che non considera sostenibili per la sua sensibilità.

In un primo momento si parlava di “dichiarazioni”, una parola che esprime una volontà dichiarata che si può mettere in relazione e in dialogo con la volontà del medico che in scienza e coscienza dovrebbe compiere scelte orientate al bene del paziente.

Si parla invece ora di “disposizioni” aprendo un diverso scenario, con il paziente che decide quali terapie e trattamenti non vorrà accettare e intraprendere e il medico che rischia di diventare mero esecutore della volontà altrui.

Non possiamo certamente tacere su alcune leggerezze, per non dire abusi, che a volte vengono fatti nelle corsie degli ospedali, dove l’informazione chiara sull’evolversi di una malattia e le prospettive terapeutiche e prognostiche viene a volte fatta in contesti non adeguati e i consensi richiesti prevedono che il paziente legga dei fogli più o meno comprensibili, senza una spiegazione che tenga conto delle sue reali capacità di comprensione e dei timori che intervengono quando si vivono situazioni di fragilità e di malattia.

Per non parlare della paura del dolore che potrebbe essere mitigata da una più capillare diffusione della medicina palliativa che, davvero, esprime l’attenzione e la cura per la persona in tutte le sue esigenze, terapeutiche, psicologiche, umane, e spirituali.

Nell’epoca dell’esaltazione delle performance individuali il rischio è che si insinui l’idea che una vita valga la pena di essere vissuta solo se rispetta alcuni standard di qualità e ciò va evitato programmando servizi alla persona parametrati secondo le diverse esigenze, con attenzione alle condizioni più gravi.

Le politiche sociali e familiari debbono tener conto di questo. Speriamo che questogoverno e, soprattutto, quelli che verranno sappiano raccogliere questa sfida.

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