I rischi dello sblocca cantieri
Il Parlamento ha da qualche giorno approvato il provvedimento di conversione in legge del decreto cosiddetto ‘sblocca-cantieri’: ad un’analisi attenta del testo sorgono molte preoccupazioni sulla sua efficacia e sui meccanismi corruttivi che può generare. Libera (associazioni, reti e numeri conto le mafie) ha espresso la sua posizione critica nelle diverse fasi di redazione del testo, sollevando dubbi circa il potenziale aumento del rischio di corruzione, così come di infiltrazione delle organizzazioni criminali.
Vediamo nel dettaglio quali sono i punti ritenuti sensibili e pericolosi della nuova normativa.
In primo luogo il depotenziamento complessivo del Codice degli appalti, entrato da poco in vigore e dunque non ancora pienamente a regime, che viene sospeso in molti punti fino al dicembre 2020. Tra questi era previsto, in un’ottica di efficienza e controllo, l’obbligo per i comuni non capoluogo di provincia di centralizzare le procedure, obbligo che viene sospeso, e che riporta quindi alla “logica dell’ognun per sé”, parcellizzando e dando maggior potere alle singole amministrazioni locali, anche quelle piccole e scarsamente dotati di competenze tecniche – dunque più deboli rispetto agli interessi economici
Un altro punto critico è l’aumento fino ad un massimo del 40% della soglia prevista per il subappalto rispetto all’importo complessivo del contratto, relativamente a lavori, servizi o forniture, e la sospensione dell’obbligo di indicare la terna di subappaltatori in sede di offerta. Si intuisce che questa modifica, allentando i controlli su certificazioni e interdittive antimafia delle imprese che entrano nei cantieri, allarga le maglie e quindi espone maggiormente rispetto alle infiltrazioni criminali.
Per ciò che concerne l’individuazione dell’offerta vincitrice è stato individuato un meccanismo che, applicando criteri macchinosi e imprevedibili, determina una sostanziale casualità degli esiti. Un meccanismo cervellotico di calcolo che, per un verso, non impedisce l’affidamento a soggetti imprenditoriali deboli o inadeguati, per un altro è particolarmente vulnerabile alla creazione o al rafforzamento di cartelli imprenditoriali che coordinando le rispettive offerte riescano a pilotare le gare.
Altro punto nevralgico è la reintroduzione in via sperimentale e “temporanea” dell’appalto integrato, ossia quelle gare in cui sono i costruttori ad assumere un ruolo egemone all’interno della definizione dei contenuti dell’opera, visto che tocca a loro l’elaborazione di progetti definitivi ed esecutivi. Si ritiene che questo possa essere premessa per l’impoverirsi di competenze tecniche dell’amministrazione e per il moltiplicarsi di varianti in corso d’opera, che faranno lievitare il prezzo finale pagato a vantaggio degli appaltatori, oppure di contenziosi e conseguenti paralisi dei lavori.
Preoccupa, inoltre, la moltiplicazione a discrezione dell’esecutivo di figure commissariali straordinarie con poteri straordinari in deroga a tutte le norme e disposizioni vigenti e allo stesso codice degli appalti, secondo un modello di gestione emergenziale delle opere pubbliche che in passato non ha prodotto affatto un’accelerazione nella realizzazione delle opere, quanto piuttosto un moltiplicarsi di vicende di corruzione che hanno visto coinvolti i soggetti investiti di tali poteri arbitrari. In parole povere, un moltiplicarsi all’ennesima potenza del modello “cricca della Protezione civile”.
La norma mira esplicitamente a indebolire ed esautorare l’Autorità nazionale anticorruzione da buona parte delle sue attività di supervisione del sistema degli appalti, in particolare attraverso l’abolizione delle sue linee guida, sostituite da un regolamento governativo: uno strumento di garanzia che rischia di diventare una scatola vuota.
Questi sono solo i principali punti ritenuti nodali di una critica dell’impianto complessivo del provvedimento, che rischiano di far diventare quello che uscirà dall’applicazione della legge di conversione del cosiddetto “sblocca-cantieri” il paradiso della corruzione e dell’infiltrazione criminale, popolato nei lavori pubblici più significativi e redditizi da commissari con poteri arbitrari e straordinari, liberi da qualsiasi reale supervisione, a forte rischio che siano utilizzati da qualche funzionario malintenzionato per incassare tangenti variamente dissimulate; un luogo in cui le competenze progettuali e il potere di controllo dell’amministrazione pubblica lascino il posto agli accordi collusivi tra spudorati imprenditori, cancellando qualsiasi sembianza di concorrenza; un contesto in cui le mafie sappiano, con la capacità camaleontica che le contraddistingue, infiltrarsi con le imprese “a proprietà mafiosa” in modo invisibile di subappalto in subappalto, accrescendo così la loro capacità di controllo economico e sociale.
La torta degli appalti pubblici vale da sola ogni anno circa 200 miliardi di euro: una pietanza troppo succulenta per non attirare gli appetiti degli attori criminali. Se già in precedenza troppe inchieste giudiziarie dimostrano che mafiosi, corrotti e corruttori avevano molti modi per sfuggire ai controlli e fare profitti e affari nel settore degli appalti, siamo certi che con questa nuova norma stiano brindando.
Francesca Rispoli e Alberto Vannucci sono componenti dell’Ufficio di presidenza di Libera