Risanare la finanza pubblica. Ma come?
Proposte ragionevoli per contrastare questa crisi dolorosa, aprendo, al contempo, nuove opportunità di crescita, soprattutto per i giovani.
Finalmente forze politiche e opinione pubblica sono in gran parte d’accordo sul fatto che occorra risanare la finanza pubblica. E’ la grande buona notizia di queste settimane di trepidazione per la stabilità delle nostre istituzioni economiche. Ad aprirci gli occhi è stata la spregiudicata avidità della speculazione finanziaria, che ha le sue colpe per cui va meglio regolamentata e tassata. Ma in questo caso non ha fatto altro che rivelare ciò che non volevamo ammettere: il nostro settore pubblico è indebitato in misura difficilmente sostenibile.
Quello che è successo in queste settimane, quindi, non è un effetto perverso di strani, diabolici meccanismi. Potrebbe succedere a chiunque sia superindebitato. Se i creditori, vedendolo agire e sentendolo parlare, cominciassero a dubitare della restituzione, gli chiederebbero subito i soldi indietro e nessuno gli presterebbe più un tallero, con il risultato di provocare un’insolvenza immediata. Se è cosi, allora allo Stato italiano, alle prese con le istituzioni finanziarie del XXI secolo, non è andata poi così male!
Oggi per fortuna non si discute più se si debba risanare la finanza pubblica, il dibattito si è spostato sul come. La manovra approvata dal consiglio dei ministri il 12 agosto è molto complessa per questo mi limiterò a commentare brevemente quattro criteri che dovrebbero essere seguiti: equità, incentivi, non deprimere l’attività economica, lungimiranza.
Equità significa non pescare dove è facile (come tagliare le esenzioni per carichi familiari, in gran parte percepite da famiglie a reddito basso), ma colpire dove c’è capacità contributiva che sfugge. E dato che molti redditi sfuggono, oggi tassare un po’ i patrimoni può contribuire a riequilibrare il carico. Una piccola patrimoniale ce l’avevamo già, l’Ici, e avevamo anche tutte le procedure già rodate per riscuoterla. In attesa della nuova imposta municipale unica, non sarebbe difficile ripristinarla.
Incentivi significa non rendere la vita troppo difficile ai contribuenti onesti, per non indurli a cercare di evadere. Da questo punto di vista non si può approvare l’imposta straordinaria sui redditi alti, che aumenta ulteriormente le aliquote a quei pochi che hanno dichiarato più di 90.000 euro – molto meno numerosi di chi fa sfoggio di auto di prestigio, motoscafi, o altri segni inequivocabili di capacità contributiva.
Lo stesso si può dire per la proposta di Confindustria di aumentare l’aliquota Iva (che certamente non farà crescere il numero di fatture regolarmente emesse da medici o idraulici), così come per un’eventuale nuova tassazione dei capitali rientrati con lo scudo fiscale, proposta dall’opposizione (lo dico con dispiacere, perché a suo tempo l’aliquota che pagarono fu decisamente bassa, molto minore di quella recentemente applicata dalla Germania per i capitali fuggiti in Svizzera; ma se prima promettiamo di far pagare il 5% e poi quando l’evasore si rivela gli mettiamo una soprattassa, sarà difficile che in futuro chi ha soldi nascosti si fidi ancora del fisco).
Bene invece il ‘ravvedimento operoso’ del governo, che in passato aveva colpevolmente portato il massimo pagamento permesso in contanti dai 1000 euro ai 12.500, e ora fa macchina indietro e torna ai 2500, per facilitare il contrasto all’evasione, alla corruzione e alla criminalità.
Più complessa è la questione di non deprimere l’attività economica. Il debito pubblico si misura in rapporto al Prodotto Interno Lordo (Pil). Oggi in Italia siamo al 120% circa. Tagliare la spesa pubblica e aumentare le entrate fiscali ha un effetto depressivo sul Pil, perché fa diminuire la domanda di beni rivolta alle imprese.
Per capirci, se facciamo una manovra fiscale di ammontare pari all’1% del Pil, il debito (il numeratore del rapporto) si riduce di altrettanto; ma se, proprio per effetto della manovra, il Pil (il denominatore) si riduce anch’esso dell’1%, il rapporto debito/Pil è esattamente uguale a prima e i sacrifici non sono serviti a nulla.
Qual è il messaggio? Che i provvedimenti meno dannosi da questo punto di vista sono quelli che non tagliano i redditi o la spesa oggi, ma che promettono credibilmente di farlo in futuro (perché è il futuro che preoccupa i mercati finanziari). Un esempio? Una riduzione delle promesse pensionistiche fatte dallo Stato ai cittadini e che lo impegnano per 10, 20, 30 o più anni.
Qualcuno si scandalizzerà che parliamo ancora di pensioni, ma occorre saper distinguere. Le pensioni sono una vera e propria giungla, che nasconde ancora grandi, ingiustificate, costose regalie. Coloro che vanno oggi in pensione con il sistema contributivo – e non si tratta solo di pensioni da fame! – riceveranno molto più dei contributi che hanno versato (anche tenendo conto di un ragionevole tasso di rendimento su questi ultimi).
Ciò vale soprattutto per chi va in pensione anticipata, e per le donne che vanno in pensione 5 anni prima. Un piccolo lusso che però costerà caro alle giovani generazioni a cui toccherà sobbarcarsi l’onere di mantenere queste generose promesse. (Attenzione ad un dettaglio: trovo ingiusto costringere una persona a lavorare fino a 65 anni o oltre; è giusto che possa smettere prima, purché non scarichi costi sugli altri e accetti una riduzione opportuna dell’assegno mensile che riceverà.)
Ultima, la lungimiranza. Il fatto che siamo forzati ad agire non deve spingerci a misure frettolose che domani ci lasceranno in una situazione peggiore. Un cattivo esempio? Il taglio delle spese di investimento, in infrastrutture e in formazione dei nostri giovani, che purtroppo continua da troppi anni.
Al contrario occorre sfruttare il momento ‘magico’ (da questo punto di vista) per fare ora quelle riforme che tutti sanno essere necessarie, come un abbattimento delle barriere che proteggono gli appartenenti a ordini professionali e i titolari di licenze, che tolgono spazio ai giovani e tengono alte le tariffe. Se riusciremo a muoverci così, allora sarà vero che le crisi, se da un lato sono dolorose, dall’altro aprono nuove opportunità.