È ripresa la stagione dei golpe in Africa?
È il turno del Gabon, poche settimane dopo il caso del Niger, che è ancora in alto mare. In due anni sono stati colpiti Paesi come il Mali, il Burkina Faso (due volte), la Gambia, il Niger, il Sudan, la Repubblica Centrafricana e ora il Gabon. Mentre altre nazioni passano momenti difficili, come il Sud Sudan in perenne conflitto, l’Etiopia e la sua guerra nel Tigrè, il conflitto con gli anglofoni in Camerun, la perenne lode del governo nigeriano contro Boko Haram, i sommovimenti delle folle persino nel tranquillo Senegal, la perenne conflittualità nella Repubblica Democratica del Congo, per non parlare delle elezioni assai discusse in Zimbabwe. E si potrebbe continuare. Che succede? Il continente esplode?
Va innanzitutto notato come, in tutti i colpi di Stato appena ricordati, nessuno escluso, vi sia una soggiacente lotta tra tabù diversi, tribù locali, il che rende ogni caso a sé stante. L’equilibrio del potere tribale, che per secoli aveva retto la governance del continente nero, è stato ridotto a poca cosa dal periodo colonialista, in particolare nel XIX e XX secolo, talvolta con sistematiche strategie per sradicarlo dal tessuto sociale: ne sia di esempio la selezione dei migliori elementi dei singoli villaggi, facendoli studiare nei migliori collegi retti degli europei, in modo da legarli al potere coloniale e dal dar loro il potere locale stravolgendo le secolari tradizioni di trasmissione dell’autorità secondo gli schemi tribali.
Un secondo elemento che va messo in luce è la fine della “Françafrica” annunciata lo scorso anno proprio in Gabon dal presidente francese Emmanuel Macron. Il quale non ha potuto che constatare il fallimento della politica post-coloniale francese, che da affare politico si era trasformata in business, cercando di mantenere comunque i benefici per Parigi dello sfruttamento delle risorse minerarie dei Paesi già colonizzati, con l’aggiunta dei vari monopoli acquisiti nel campo del gas, dell’elettricità, della logistica, della telefonia… Mali, Burkina Faso, Repubblica Centrafricana, Niger e ora Gabon, tra gli altri Paesi francofoni, hanno dichiarato la fine della “Françafrica”. Non è stato Macron, in un disperato tentativo di mantenere una qualche influenza in quei Paesi, a gestire la storia, ma è la storia ha dettato il suo calendario.
Non bisogna poi dimenticare la questione, collegata alle due precedenti, delle grandi e lunghe dinastie al potere in alcuni Paesi africani, esemplificate dall’ultimo colpo di Stato in Gabon guidato dal generale Nguema, nazione retta dalla famiglia Bongo da più di cinquant’anni, addirittura. Con il corredo di una stratificata corruzione atta a mantenere lo status quo, spesso e volentieri in accordo proprio con la Francia e i suoi emissari. Tecnica di mantenersi al potere comune anche ad altri Paesi, in coincidenza d’interessi anche con altre potenze globali, quali Cina Stati Uniti e Russia.
Anche in Africa si comincia a provare una certa insofferenza per queste reti di corruzione familiari che impediscono un sano sviluppo economico, mentre alcuni Paesi del continente, seppur gravati da problemi sociali di vario genere − Ruanda, Ghana, Namibia, Botswana… −, riescono a migliorare le loro performance economiche nonostante lo standard di vita dei propri concittadini sia ancora non dei più elevati.
Su tutto ciò, aleggiano le questioni geopolitiche, la lotta senza quartiere, economica e tattica, tra Cina e Stati Uniti, le conseguenze della grande scommessa dei Brics, che hanno tenuto il loro ultimo summit proprio in Sudafrica, il futuro della compagnia Wagner e l’influenza russa nel Sahel, la presenza dei rimasugli del Daesh nel Sahel, la guerra del grano scatenata dal conflitto in Ucraina…
Eppure, osservando i grandi indicatori macroeconomici di sviluppo umano relativi al continente nero, si resta sorpresi per la costante crescita del peso dell’Africa, la cui determinazione può essere iconizzata in quel candidato all’ingresso in Europa che dall’Eritrea ha fatto diciannove tentativi di sbarco in Europa andati a vuoto, prima di riuscire al ventesimo azzardo sulle carrette del mare, arrivando tra l’altro nell’inferno di Lesbo.
L’Africa farà parlare di sé non solo per i golpe che ancora non sono finiti, non solo per i migranti che sbarcano in Europa. Perché l’Africa è la coscienza sporca degli europei e del mondo intero, anche se il capitalismo selvaggio d’ogni bordo la vede ancora solo come una cassaforte di risorse.
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