Ripensare la città dalle periferie
Con Carlo Cellamare, urbanista e docente all’università La Sapienza di Roma, abbiamo, nella prima parte dell’intervista, ripercorso la storia e la progettualità che ha segnato lo “sventramento” del centro storico della capitale durante il ventennio fascista, per arrivare a comprendere il senso e la reale sostenibilità del progetto di pedonalizzazione di via dei Fori imperiali, che rientra simbolicamente tra i primi atti dell’amministrazione del nuovo sindaco, Ignazio Marino.
Subito dopo la fine del regime, si è pensato di tornare indietro con i progetti urbanistici mussoliniani?
«Le amministrazioni democristiane che si succedettero al governo della città negli anni del dopoguerra non posero minimamente in discussione la situazione e l’approccio seguito, anzi per molti versi rappresentarono una continuità, sebbene più moderata. Basta ricordare il completamento di via della Conciliazione, avviata con lo sventramento fascista. Bisogna aspettare le amministrazioni di centro-sinistra perché la questione assuma una grande rilevanza: stava dentro un dibattito sulla città che si era finalmente aperto e che non aveva mai visto la luce prima».
Come è sorta l’idea di un Parco dei Fori?
«L’idea di costituire un grande Parco dei Fori in continuità col Parco dell’Appia Antica è un’idea che viene da lontano, che ha trovato in Antonio Cederna uno dei suoi primi e principali sostenitori. L’idea è grandiosa e ha un respiro amplissimo e di livello internazionale. Comporterebbe un ripensamento totale della città ed, in particolare, del suo centro storico. Le resistenze sono sempre state molte, sia a causa di una cultura lenta a muoversi sia per una serie di motivazioni che avevano ed hanno la loro importanza (ma che in alcuni casi vengono usate strumentalmente). Ne segnalo solo due.
Una prima è legata ai problemi della mobilità e del traffico: chiudere via dei Fori Imperiali comporterebbe un ripensamento totale della mobilità in centro storico, e conseguentemente in un vasto settore urbano. Una seconda è legata alla museificazione di larga parte del centro storico, rispetto al quale molti invece si pongono il problema di mantenere la residenzialità, a fronte, comunque, di una trasformazione radicale in atto rispetto alla quale le politiche pubbliche non sembrano fare molto. Indubbiamente si realizzerebbe il più grande parco archeologico urbano al modo».
Quale pericolo comporta il traffico in quell’area?
«In realtà, la proposta della giunta Marino echeggia la grande idea di Antonio Cederna, ma parte da un problema molto più piccolo e concreto, cioè quello di rivedere la mobilità a causa dei cantieri della metro C in costruzione. Nel dibattito che è sorto, di conseguenza, si è parlato molto del traffico e della riorganizzazione della mobilità, ma molto poco del Parco dei Fori, che non sembra apparire ancora all’orizzonte. Il problema è che i cantieri della metropolitana comporterebbero (come già in parte comportano) una riduzione della carreggiata, con una serie conseguente di grandi problemi.
In primo luogo problemi alla circolazione e aumento del traffico; in secondo luogo, un forte conflitto con i flussi di turisti e la fruibilità dell’area (strettoie, percorsi provvisori, polveri, ecc.). Allo stesso tempo, si renderebbe la vita complicatissima allo svolgimento dei lavori nel cantiere, che dovrebbe rimanere stretto in spazi troppo angusti per operare adeguatamente (e anche più rapidamente). Da qui l’esigenza di spostare il traffico e chiudere la via».
Insomma sembra più una necessità contingente che una vera progettualità?
«Sarebbe interessante cogliere l’occasione per parlare del Parco dei Fori (e della sua congiunzione con il Parco dell’Appia Antica), ma non è la questione all’ordine del giorno, purtroppo. Anche i “rapidi” processi partecipativi (alcune assemblee pubbliche di presentazione e discussione dei progetti, compreso il taglio delle alberature), sviluppati dal Primo Municipio in accordo col comune, hanno teso a stringere i tempi ma anche il campo di interesse della discussione, che certo non ha trattato il problema del Parco dei Fori, preferendo trovare soluzioni pratiche ai problemi connessi alla chiusura di via dei Fori Imperiali. Perché indubbiamente il disagio legato alla chiusura di via dei Fori Imperiali e all’aumento del traffico nelle altre vie contermini sarebbe notevole.
Questo grande disagio (eventualmente limitato nel tempo), potrebbe trovare una sua ragione nella misura in cui il progetto della metro C (la stazione a Colosseo in intersezione con la linea B e la sua prosecuzione attraverso il centro storico) fosse veramente condiviso e venisse considerato da tutti (abitanti compresi) di interesse strategico per la città».
La vera questione sembra essere il percorso della Metro C, dunque. Che posizioni si registrano a proposito?
«Attualmente le posizioni sono un po’ differenziate: accanto a un gran numero di persone poco critiche (se non per i disagi), vi è un movimento molto forte e motivato che è critico rispetto a questo progetto: non solo per gli impatti sulla città, ma anche nei confronti delle scelte fondamentali sulla mobilità. Perché far passare una metro pesante sotto il centro storico (con tutti i problemi che comporta) e pochissime uscite (di fatto solo piazza Venezia) e non pensare a tram di superficie di minor impatto, con una maggiore capacità di distribuzione dei flussi di passeggeri e minori costi? Indubbiamente qui la discussione è sul ripensamento dell’intera mobilità del centro storico e di un settore del centro storico».
Con il caos attuale del traffico a Roma si può davvero pensare di risolvere il problema bloccando il transito ai Fori quando le auto circolano dappertutto? Quali interventi radicali andrebbero presi? E i tempi lunghi della partecipazione non sono funzionali a chi non vuole i cambiamenti per rendite di posizione?
«Come si diceva i problemi e le soluzioni al traffico e alla mobilità in quel nodo appaiono più circoscritti nel tempo e nello spazio, sebbene non sarebbe male cogliere l’occasione per affrontare più ampiamente e più radicalmente il problema della mobilità in quel settore del centro storico, questione che sarebbe di indubbio interesse e utilità. Questo però significherebbe affrontare il problema complessivo della mobilità del centro storico e quindi forse pensare ad una ZTL estesa, ad una prevalenza del trasporto pubblico (in particolare ai tram di superficie come si è avuto con il prolungamento del tram da Argentina a Venezia) e al passaggio ad altre forme di mobilità a impatto zero (ciclabilità). Quindi un ripensamento dell’idea stessa di centro storico».
E concretamente cosa si è deciso ?
«Quanto emerso dalla discussione sembra configurare, invece, una soluzione che comporterà, abbastanza probabilmente, un significativo aumento del traffico sull’asse Santa Maria Maggiore – San Giovanni ed un discreto caos in quel settore urbano».
Come si può pensare di incentivare il servizio pubblico se l’Atac (azienda dei trasporti) sembra ad un passo dal fallimento? Quale mobilità è possibile in una metropoli in modo da non escludere i più fragili, come gli anziani e i bambini, e non segregare gli abitanti delle periferie?
«Il problema della mobilità a Roma è un vecchio problema e non ha mai trovato sinora una buona soluzione. L’unico tentativo serio si è avuto con l’assessore alla Mobilità Walter Tocci (durante l’amministrazione Rutelli, in cui era vice sindaco) e i primi tentativi di “cura del ferro”. Operazioni che hanno inciso, alla fine, solo marginalmente.
Il problema non è soltanto nella gestione dell’ATAC, ma nell’organizzazione stessa della città. Si tratta di una città cresciuta senza molto criterio, a macchia d’olio, con molte periferie lontane, disperse e a bassa densità. Tutto ciò obbliga il trasporto pubblico ad “inseguire” lo sviluppo insediativo e la dispersione urbana con costi crescenti ed insostenibili, e contemporaneamente un servizio che inevitabilmente non può che rimanere sempre inadeguato. Con effetti sulla vivibilità delle periferie (e su alcune categorie sociali più fragili) che ben conosciamo. Le stesse nuove “centralità” (che pure dovevano servire a riqualificare le periferie!) dovevano essere costruite con attestamenti del trasporto su ferro e questo non è avvenuto (se non in alcuni casi sporadici e inadeguati). Il problema è quindi ripensare totalmente lo sviluppo insediativo di Roma».