Ripensare il rapporto tra politica e giustizia

Questa la necessità più pressante emersa dal dibattito di presentazione del libro Solo per ingiustizia di Giuseppe Gambale
solo per ingiustizia

«Vorrei che la mia vicenda fosse un’opportunità data alla politica per correggere e migliorare il sistema giudiziario, non un elemento di divisione». Per quanto sia inusuale iniziare un pezzo sulla presentazione di un libro partendo dalla sua conclusione, le parole con cui Giuseppe Gambale si è congedato dall’uditorio tracciano bene il quadro in cui si è svolto il dibattito tra il direttore di Libero Maurizio Belpietro, il deputato Andrea Orlando, il giornalista Luca Telese e il ministro della Giustizia Angelino Alfano. A dare l’occasione per una sentita discussione sul tema è stato appunto Solo per ingiustizia, il libro in cui Gambale racconta la sua storia di politico, cittadino, padre e uomo, trattenuto per 79 giorni agli arresti domiciliari prima della sentenza di assoluzione nel caso Global Service. Un’inchiesta «condotta male» con un uso controverso delle intercettazioni, che ha portato Gambale in tribunale per una vicenda legata a degli appalti, mai banditi, nel Comune di Napoli.

 

Il tema che più ha tenuto banco è stato quello di un rapporto tra media, giustizia e politica che tutti gli intervenuti hanno definito come «malato» secondo vari punti di vista: per quanto, a detta di Belpietro, i giornali «prendano solo atto di quello che accade», è «necessario che si possa pubblicare tutto – ha proseguito Telese –, ma anche saper scegliere cosa pubblicare», per evitare la «pena aggiuntiva» della gogna mediatica. Il riferimento era chiaramente alle intercettazioni, rispetto alle quali – ha sottolineato il ministro Alfano – il codice attuale è soddisfacente: il problema «non è la mancanza della legge, ma il fatto che sia male applicata».

 

La questione rinvia più in generale al rapporto tra politica e giustizia, «diventata ormai un campo di propaganda», secondo l’on. Orlando. Una questione che, pur andando al di là delle appartenenze partitiche, «non può essere affrontato in un clima sereno – ha affermato Telese – a causa di un conflitto di interessi che mina la credibilità del governo, dei magistrati e della politica. Quello che va tolto al Paese è questo clima da “necessità di guerra civile”».

 

Tutti gli intervenuti hanno sottolineato come nel libro di Gambale non ci sia alcun accenno di acrimonia verso un sistema giudiziario che non ha funzionato a dovere. E a proposito della necessità di distinguere tra il sistema e la singola persona, sia Telese che il ministro Alfano hanno ribadito la loro piena fiducia e gratitudine ai magistrati: «Ritengo però – ha aggiunto quest’ultimo – che la maggioranza da stimare dei magistrati non si indigni a sufficienza contro la minoranza che non lo è».

 

Altra caratteristica del libro ripresa più volte dai relatori, è il suo essere prima di tutto una storia, una vicenda umana, a tratti anche commovente: il raccontare come Gambale ogni mattina fingeva di andare al lavoro – rifugiandosi invece nel suo studio – per non far capire ai figli di essere ai domiciliari, o l’episodio del più piccolo che racconta in un tema a scuola la gioia per l’assoluzione del padre, fanno trasparire «che dietro ai fatti c’è una persona», per dirla con Belpietro.

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