Ripartire dalle ceneri di una strage
Diciannove anni fa, nel 1994, in un piccolo Stato dell’Africa orientale, ebbe luogo uno dei più sanguinosi episodi della storia del XX secolo. Parliamo del genocidio ruandese che, tra inizio aprile e metà luglio di quell’anno, provocò la morte di quasi un milione di persone. Il tutto nella quasi totale indifferenza dell’Occidente, spettatore, sostanzialmente distaccato, di un massacro avvertito come assai distante dai propri interessi. Le vittime furono prevalentemente tutsi, gli appartenenti a una delle tre tribù (le altre sono gli hutu e i twa) che per secoli avevano coabitato pacificamente questa terra, condividendo in gran parte stessa cultura, lingua e religione. Col tempo però, le differenze tra hutu e tutsi sono diventate prevalenti rispetto a ciò che in precedenza li univa. E sono cominciati i problemi.
Diciannove anni fa, a pochi chilometri di distanza da Kigali, la capitale di questo Paese che oggi conta una popolazione di circa dieci milioni di abitanti, arrivarono in fretta e furia quattromila persone per nascondersi all’interno di una scuola di Kicukiro. Credevano di essere al sicuro, in quel luogo sorvegliato dai Caschi Blu belgi delle Nazioni Unite. Ma nemmeno i militari riuscirono a proteggerli. Morirono tutti, sterminati a colpi di armi da fuoco, colpiti con machete e bastoni chiodati dai guerriglieri hutu. Negli anni che seguirono quella strage, migliaia di ruandesi che durante il genocidio erano fuggiti in Kenya, in Tanzania e in Uganda, fecero gradualmente ritorno nella propria terra nel tentativo di ricostruirsi una vita.
Inutile dire che non fu certo facile. Le loro esistenze erano ormai state segnate per sempre, ma ci provarono in tutti i modi, ripartendo anche da cose apparentemente banali come praticare il cricket, uno degli sport che avevano imparato a conoscere quando erano profughi e che oggi, in quella parte del mondo, è tra i più amati. Era il 1999, infatti, quando un gruppo di loro fondò il Rwanda cricket association che successivamente, nel 2002, prese in affitto per praticare questo sport il piccolo terreno dove una volta sorgeva la scuola di Kicukiro. Sì, stiamo parlando proprio del campo che pochi anni prima era stato il luogo dove si era svolta una delle stragi più cruente del genocidio ruandese. Certo, si trattava di un campo non regolamentare, sicuramente improvvisato, ma voluto proprio lì, in un posto molto simbolico.
Negli ultimi anni in Ruanda la popolarità del cricket è cresciuta sempre più, tanto che oggi sono migliaia coloro che praticano questo sport. Sono state formate le prime squadre nazionali, sia maschili sia femminili, con particolare attenzione alle formazioni giovanili. Perché questo sport è diventato nel frattempo parte del programma scolastico in diverse scuole secondarie, in diverse università e persino in diversi orfanotrofi del Paese. Perché si è capito che, come già accaduto in altre parti del mondo, ancora una volta lo sport può svolgere un ruolo importante nel riunire un popolo. Ma in Ruanda, nonostante questo, oggi non c’è ancora un solo campo regolamentare per disputare gare ufficiali.
Fortunatamente, grazie all’iniziativa di un ente di beneficenza gestito congiuntamente da membri ruandesi e del Regno Unito, dal 2011 il Rwanda Cricket Stadium Foundation sta raccogliendo fondi per la realizzazione di un campo da cricket dove poter ospitare in futuro tornei nazionali e partite internazionali, dando sempre più impulso alla pratica di questa disciplina. Lo stanno costruendo, simbolicamente, poco distante dal terreno dove nel 1994 sorgeva la scuola di Kicukiro. Un modo per dare una sede permanente alla prossima generazione di giocatori di cricket ruandesi, e per avviare allo sport i giovani più svantaggiati di questo Paese africano (oltre al campo da cricket verranno realizzati anche diversi campi da tennis e una piscina). L’obiettivo è inaugurare questo complesso per l’aprile del prossimo anno, in occasione del ventesimo anniversario del massacro di Kicukiro. Per non dimenticare. Per ripartire, per quanto possibile, proprio dalle ceneri di una strage.