Ripartire dalla bellezza

Nella casa circondariale femminile di Bari, un gruppo di volontarie ha avviato un laboratorio artistico e comunicativo per - e con le detenute
laboratorio carcere bari

Nella sezione femminile della casa circondariale di Bari da un anno si svolge un’attività di laboratorio e di studio sui linguaggi multimediali, sulla cromoterapia e sulla comunicazione, che spiega come l’uso dei colori influenzi il modo di pensare e di vivere. L’idea è nata da un gruppo di donne che hanno seguito sulla scia di Chiara Lubich quel richiamo evangelico a prendersi cura degli “ultimi”, pur tra tanti dubbi e perplessità per le inevitabili difficoltà che il progetto avrebbe comportato. Diana, maestra d’arte specializzata in cromoterapia e multimedialità, ha sperimentato che la bellezza che è presente in natura e nell’uomo si può riscoprire attraverso i talenti e che, facendo l’esperienza del bello, lo stato d’animo si calma suscitando sentimenti di bontà e di pace: per questo il progetto si è chiamato Alla scoperta del bello fuori e dentro di noi.

 

Sono bastati pochi mesi perché il clima di serenità e di gioia che si è creato nel laboratorio coinvolgesse anche le guardie e il personale di sicurezza. Un giorno uno dei responsabili della struttura si è trovato sulla porta venti bigliettini in cui altre volevano partecipare al corso. Certo trovarsi con tante donne detenute, pur sottosorveglianza poteva mettere una certa soggezione. Non a Diana perché con lei, e le altre, le ragazze cominciano ad aprirsi lamentando anche la difficile situazione in cui vivono, la stessa del resto di molte carceri italiane: stanze piccole, regole severe e dure, contrasti tra gruppi di detenute. Per chi le norme non hanno valore, la perdita di libertà è vissuta con maggior sofferenza e particolarmente in spazi ristretti, dove le diversità di carattere, di culture e nazionalità non possono armonizzarsi solo perché si condividono gli stessi metri quadri.  

 

L’armonia che il laboratorio prova a portare nelle celle con fiori colorati non ha effetto solo sulle mura, ma stimola nelle partecipanti la gioia di vivere e la volontà di agire anche sugli spazi comuni.  

 

«Per creare meglio il clima di fraternità – continua Diana, responsabile del progetto – ho suggerito quelle regole che servivano per creare armonia tra le immagini e i colori che loro sceglievano. Spiegavo che ci sono colori che brillano di luce propria e illuminano gli altri, colori che stando insieme si valorizzano a vicenda, mentre altri entrando nel colore dell’altro spariscono per farlo risaltare. Ci sono, però, anche colori che con la loro forza, annullano l’altro e infine, alcuni colori che mescolati casualmente creano confusione e tristezza. Tutto ciò si poteva paragonare a quello che avviene tra le persone. Infatti senza regole si crea il caos, e se vogliamo creare armonia e pace dobbiamo rispettare l’altro provando a valorizzarlo senza rinunciare alla nostra identità, perché ogni diversità può diventare una ricchezza reciproca».

 

Una sera, parlando del colore viola e del suo significato di evasione, le ragazze hanno manifestato il loro desiderio di libertà: ma questo ha suscitato una riflessione sulla necessità di “pagare” per i loro errori, sapendo che tutti possiamo sbagliare e ciò che conta è rendersi conto e ricominciare. “Ditelo con i fiori”, tra le sbarre del carcere, non è solo felice slogan pubblicitario, ma diventa reale possibilità di condivisione di vite recluse, ma pur sempre vite.

 

Il dipinto I colori della fratellanza ha valorizzato ciascuna detenuta. Ogni particolare recava il loro sigillo e la consapevolezza sia delle proprie capacità che della propria dignità. La serenità e il sorriso diffuso ha contagiato anche le guardie che si sono unite alle attività creative, soprattutto a Natale e a Pasqua. Sulla lavagna del laboratorio a conclusione del corso, una partecipante lascia una frase dedicata alle volontarie: «Grazie a tutti voi, grazie di tutto, se ho la forza per combattere ancora, è grazie a voi ».

 

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