Ripartire da Firenze

Grande partecipazione all’appuntamento del Circo Massimo. La manifestazione ribadisce la difesa della famiglia da parte del mondo cattolico. I contrasti sorti all’interno della Chiesa italiana richiedono di rimettere a fuoco il bisogno di unità
Family day

L’ampiezza e la velocità dei cambiamenti sociali, politici ed economici in corso, in particolare nel nostro mondo occidentale, sono di una tale portata da rendere inevitabile un forte contraccolpo sulle persone, che vedono continuamente messe in discussione le sicurezze e le convinzioni su cui basano la propria vita. Il contraccolpo è notevole non solo quando si viene privati di qualcosa, ma anche quando si ottiene la possibilità di realizzare un desiderio prima negato: vedi ad esempio i cosiddetti nuovi diritti civili. In entrambi i casi vengono toccate corde profonde del nostro essere e quindi le reazioni sono molto forti, tanto più quando sono in gioco temi eticamente sensibili che riguardano le basi stesse della convivenza sociale.

 

In questo contesto la battaglia per le unioni civili non poteva non suscitare forti contrapposizioni. Il FamilyDay ha indubbiamente fatto sentire alta la voce di tante famiglie che hanno fatto uso del loro legittimo diritto democratico ad esprimersi pubblicamente in una manifestazione in favore della famiglia. Molte coppie intervistate a caldo hanno infatti ribadito di essere in piazza “per la famiglia” e non “contro qualcuno”. Va ricordato quanto certa stampa abbia “lavorato” (non obiettivamente) per mettere in cattiva luce le famiglie presenti al Circo Massimo. Ma anche un titolo come “Vietato rottamare la famiglia” aveva connotazioni chiaramente politiche, esattamente quelle che gli organizzatori avevano affermato di voler evitare.

 

La scelta del Movimento dei Focolari, che ispira Città Nuova, di non partecipare al FamilyDay come promotore (anche se aderenti al Movimento erano in piazza perché avevano ritenuto giusto parteciparvi) ha suscitato approvazioni e critiche. Le lettere ricevute in redazione o postate su siti e social network lo testimoniano. Questo nonostante sulla rivista e sul sito fosse stata più volte chiarita la nostra posizione di pieno supporto alla famiglia naturale formata da padre, madre e bambini, con il diritto di questi ultimi ad avere un padre e una madre. Le critiche ricevute non riguardano cioè i contenuti, ma la forma del nostro impegno. Il modo di lavorare per la famiglia, dunque.

 

Perché non abbiamo promosso la manifestazione? Lo ridiciamo. Temevamo infatti che la manifestazione potesse venire mal interpretata e strumentalizzata, scavando così ulteriormente i fossati già esistenti. Perché il Movimento dei Focolari sta “per vocazione” nelle ferite della società. Ciò non vuol dire essere tiepidi, né caldi né freddi e nemmeno avere paura di prendere posizione; ma vogliamo stare nelle spaccature senza tagliare i ponti con nessuno, senza smettere di ascoltare, comprendere ed accogliere ognuno e tutti. È nel nostro Dna questo atteggiamento (al movimento aderiscono persone di orizzonti molto diversi), che ha peraltro permesso negli ultimi anni di aprire vie di dialogo assolutamente fuori dal comune, come nel dialogo tra fedeli di religioni diverse o nel lavoro nel mondo politico tra esponenti di partiti diversi. Questa è la nostra identità, forse difficile da capire: ma è per questo siamo presenti nella società.

 

Le divisioni riemerse con il FamilyDay sono state gravi anche nella Chiesa italiana. Avremmo preferito non leggere certe dichiarazioni e certe interviste. Crediamo che sia il momento di voltare pagina. Dopo il FamilyDay e le sue interpretazioni spesso opposte, la Chiesa cattolica italiana deve ripartire da Firenze per ritrovare il cammino verso l'unità. Altrimenti, che l’avremmo fatta a fare quell’assemblea? A cosa sarebbero servite le parole evangeliche del papa nel duomo di Firenze? È pur vero che in tante diocesi si sta lavorando a quel testo, ma bisogna fare di più. Da quelle parole crediamo che in effetti si potrebbe ritrovare anche il modo migliore e più “condiviso” per affrontare il grave problema della famiglia qui in Italia e in Europa.

 

Permettete che a questo proposito ricordiamo alcune delle parole del papa a Firenze: «Umiltà, disinteresse, beatitudine: questi tratti (…) ci dicono che non dobbiamo essere ossessionati dal “potere”, anche quando questo prende il volto di un potere utile e funzionale all’immagine sociale della Chiesa».

 

Ma soprattutto Francesco a Firenze aveva sottolineato la capacità di dialogo e di incontro: «Dialogare non è negoziare (…), ma è cercare il bene comune per tutti. (…) Nel dialogo si dà il conflitto: è logico e prevedibile che sia così. E non dobbiamo temerlo né ignorarlo ma accettarlo». E più oltre: «Il modo migliore per dialogare non è quello di parlare e discutere, ma quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti: non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà». Certo, non bisogna essere ingenui: «La Chiesa sappia anche dare una risposta chiara davanti alle minacce che emergono all’interno del dibattito pubblico: è questa una delle forme del contributo specifico dei credenti alla costruzione della società comune. I credenti sono cittadini».

 

Il papa aveva concluso il suo intervento così: «Mi piace una Chiesa italiana inquieta, sempre più vicina agli abbandonati, ai dimenticati, agli imperfetti. Desidero una Chiesa lieta col volto di mamma, che comprende, accompagna, accarezza. Sognate anche voi questa Chiesa, credete in essa, innovate con libertà. L’umanesimo cristiano che siete chiamati a vivere afferma radicalmente la dignità di ogni persona come Figlio di Dio (…) stabilisce tra ogni essere umano una fondamentale fraternità».

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