Ripartiamo dalla speranza
Una visione così alta del matrimonio come si coniuga con la grande fragilità umana?
«Dio ha costituito il matrimonio a fondamento della condizione umana. Nonostante il peccato originale che ferisce, ma non corrompe, Gesù Cristo ha rigenerato la natura umana con l’aiuto della grazia. Così possiamo compiere i comandamenti di Dio e venire incontro alle esigenze che provengono dai sacramenti. La grazia è insieme un faro ed una forza, e Dio ci ha reso capaci di attuare i comandamenti nello Spirito Santo, che agisce nei nostri cuori e ci dà la forza di seguire Gesù.
«Oggi qualcuno, di fronte alla mentalità odierna, è tentato di gettare la spugna e pensare che la carne umana, i rapporti umani, così fragili e feriti, non siano in grado di essere un veicolo ed un segno adeguati dell’amore esigente di Dio. Sarebbe così se non ci fosse l’aiuto potente della grazia: ma Dio ha voluto e creato la carne umana come luogo in cui rivelare il suo Amore potente! Penso che questo pessimismo antropologico derivi, di fatto, da un venir meno della fiducia verso la capacità che Dio ha di vincere quel male che le nostre povere forze non riescono a vincere.
«Noi cristiani viviamo invece un realismo ottimista e abbiamo fiducia nell’uomo perché Dio ha avuto fiducia in noi! Dio ci eleva alla sua altezza e sarebbe meglio parlare delle possibilità della grazia e non fissarsi sempre sulle fragilità dell’uomo, rassegnandosi ad esse e quasi giustificandole.
«La natura è vulnerata ma non corrotta: per questo non bisogna arrendersi di fronte alle difficoltà. In questo senso dobbiamo presentare di più la positività della vita vissuta nella fede cristiana. Ciò che Dio ha fatto con l’uomo era ed è “buono”, come leggiamo nel libro della Genesi. Gesù ha vinto il peccato e la disperazione. Partendo sempre dalle fragilità, invece che dalla speranza che ci offre la grazia di Dio, non aiutiamo l’uomo contemporaneo a risollevarsi».
Data per scontata l’indissolubilità del matrimonio, che soluzioni si possono prospettare per la comunione ai divorziati risposati?
«Sinceramente non vedo un grande spazio per questa prospettiva. Non si tratta di escludere qualcuno o non volere la sua salvezza: la salvezza è anzitutto affare di Dio e, sia chiaro, noi vorremmo la salvezza di tutti! Nessuno di noi gioisce al pensiero che qualcuno si perda. Ma dobbiamo essere leali con i mezzi di salvezza che possiamo offrire ai nostri fratelli. Non è possibile accedere alla comunione se si intrattiene un legame more uxorio con una persona diversa da quella con cui si è validamente sposati. Ripeto, “validamente sposati”, perché oggi, di fatto, tanti matrimoni sono nulli. Non è una questione di potere, la Chiesa deve rispettare la volontà di Dio e la natura sacramentale del matrimonio.
«La vera questione non mi pare, comunione “sì” o comunione “no”, ma piuttosto come aiutare ciascuno dei nostri fratelli ad un autentico e sincero cammino di fede, nella sua particolare condizione. Perché, senza fede autentica, a che serve l’accesso alla mensa eucaristica? In questo, noi Pastori abbiamo una grande responsabilità nell’accompagnare le nostre sorelle ed i nostri fratelli, e siamo grati a Papa Francesco che, con coraggio, ci sprona e ce lo ricorda ogni giorno.
«Allora se vi è chi, alla luce della fede e dell’insegnamento della Chiesa, non può accedere alla comunione, questi deve essere accolto e aiutato a vivere questa condizione come una croce, cioè come un’occasione propizia, anche se dolorosa e faticosa, per camminare seguendo il Signore Gesù. Egli può allora partecipare alla Messa, pregare, unirsi spiritualmente al Signore, vivere la vita della comunità, praticare la carità, testimoniare la fede, mostrare a tutti la speranza che nasce nel cuore di chi segue sinceramente Gesù.
«Nello stesso tempo, occorre dire che se il primo matrimonio è valido non è possibile vivere un secondo legame analogo al matrimonio. È comunque vero che se un battezzato si unisce con un legame more uxorio con chi non è il proprio coniuge commette un peccato grave, ma ci sono anche peccati forse più gravi come la negazione della fede e della speranza in Gesù Cristo o vivere tanti ambiti della nostra vita come se Dio e i fratelli non esistessero: non pregare, non partecipare alla liturgia e ai sacramenti, non vivere la carità…
«Anche non offrire una buona testimonianza cristiana nella politica, nella cultura o nel lavoro, può costituire un grave peccato. Ma Dio dona sempre la sua grazia, anche in situazioni difficili, per aiutarci ad essere buoni cristiani. Fa pensare il fatto che lo scrittore francese Charles Péguy, il quale viveva in una situazione matrimoniale irregolare, non potesse accedere alla Comunione e noi ci nutriamo ancora oggi dei suoi scritti. Quindi, in determinati casi, c’è la possibilità di vivere da cristiani anche accettando la croce di non poter accedere all’eucarestia».