Riparte lo sport, ma non per tutti
Guanti e mascherina, termo-scanner, autocertificazioni, gel igienizzante, tamponi… Anche lo sport, se vuole riprendere, deve allargare il proprio vocabolario e fare i conti con termini riservati, fino a pochi mesi fa, a sale operatorie e pronto soccorso.
La pandemia da coronavirus, una tragedia per numero enorme di ammalati e di vittime, ha prodotto, da un giorno all’altro, anche un cambiamento radicale degli stili di vita durato quasi tre mesi. A causa delle misure volte a limitare la vita pubblica e ridurre i contatti sociali, l’accesso a palestre, società sportive o impianti sportivi non è stato più possibile. Ma non sono oggi uguali per tutti le conseguenze di questa forzata e prolungata mancanza di attività fisica e sportiva e dei benefici sulla salute fisica, mentale e sociale ad essa correlati.
Quel “andrà tutto bene” che c’eravamo augurati, oggi per molti si è trasformato, dando un’occhiata al guardaroba, in un “andrà tutto stretto”. Non è solo cambiata l’Italia: è cambiata anche la taglia. L’inattività, abbinata alla sperimentazione di nuove ricette, alla degustazione di aperitivi e di manicaretti d’ogni genere, ha prodotto i suoi danni, per ora protetti da sguardi indiscreti dal rifugio domestico dallo smart work, ma che difficilmente potranno essere tenuti nascosti con l’arrivo della bella stagione.
Nel corso dell’epidemia, creativi ed ammiccanti personal trainer online ce l’hanno messa tutta per motivarci a trasformare il salotto in una fitness room; tapis roulant e cyclette hanno preso il posto di tavolini e poltrone; il governo sta ora facendo la sua parte per trasformare, con incentivi, un popolo che usava l’auto anche per andare a comperare il giornale, in emuli (ma elettrificati) di Coppi e Bartali ed improvvisati e spericolati piloti di veicoli elettrici, banditi fino a pochi mesi fa perché pericolosi ed ora riabilitati perché ecologici, come monopattini (due ruote in fila ed un manubrio), segway (due ruote in parallelo ed un manubrio), hoverboard (due ruote… e basta), altri termini da imparare in fretta. Fin qui la cura prescritta a pigri, sedentari ed amanti della buona tavola.
E gli sportivi di alta prestazione? Agli atleti professionisti, costretti al riposo forzato, non è andata forse poi così male: inattivi, hanno attinto allo stipendio, magari decurtato (forzatamente o, in certi apprezzabili casi, volontariamente), ma hanno perso Olimpiadi, campionati mondiali, continentali, nazionali… Qualcuno ha colto l’occasione per chiudere la carriera, molti hanno visto infrangersi progetti, aspettative (e sudore), a volte di anni, coltivati con passione e forza di volontà.
Per chi, di mestiere, pratica sport di squadra o di contatto fisico, la ripresa sarà piena di ostacoli: è impresa inverosimile conciliare norme e prescrizioni a tutela della salute propria ed altri e sottomissione a interessi economici legati a sponsor e diritti televisivi. Di certo, almeno per un po’, sul podio degli eroi, al posto dei Ronaldo, Valentino Rossi e Federica Pellegrini, sono saliti medici ed operatori sanitari. Il ridimensionamento dei privilegi dello sport di vertice, alla luce dei fatti, non è più solo un optional morale.
A pagare il prezzo maggiore delle conseguenze della pandemia sarà però, purtroppo, lo sport di base: le associazioni sportive dilettantistiche sono sopraffatte dagli obblighi di prevenzione e di sicurezza (gli stessi dei professionisti, ma senza la disponibilità economica di questi ultimi) e dalla improvvisa ed inattesa scarsità di risorse economiche.
Molte associazioni hanno dovuto risarcire le famiglie dei loro giovani atleti dell’inattività di questi mesi; molte, se vorranno mantenere i numeri degli iscritti, non solo dovranno dare ai genitori garanzie di sicurezza per i loro figli, ma dovranno ridurre i costi di iscrizione per il prossimo anno (perché le famiglie avranno meno disponibilità); molte non troveranno più sponsor generosi (perché le aziende sono andate in crisi) disposti a sostenere attività con scarso ritorno di immagine; molte non saranno in grado di sostenere i costi di gestione della società e di affitto degli impianti.
Che futuro potranno avere, con le ristrettezze economiche che incombono, i mille e mille collaboratori (allenatori, tecnici, preparatori atletici ecc.) che promuovono, formano, sostengono lo sport dilettantistico e giovanile italiano? Il solo volontariato, silenzioso ed appassionato motore dello sport italiano, non può risultare sufficiente. Difficile immaginare che l’attività sportiva di base possa rimanere in vita senza un sostegno concreto da parte del governo, delle istituzioni locali e di quelle sportive.