Rinvio del ritiro Usa?

I consiglieri di Trump cercano di chiarire la politica americana in Medio Oriente, facendo lo slalom tra le dichiarazioni contraddittorie del loro presidente

Il 19 dicembre scorso un ormai famoso tweet di Donald Trump annunciava la sconfitta del Daesh e il ritiro dalla Siria entro 30 giorni di tutti i circa 2 mila militari statunitensi. Dopo le reazioni a cascata negli Usa, in Europa e in Medio Oriente, con dimissioni di vertici del Pentagono, alleati in affanno e avversari perplessi, è scoppiato un frenetico balletto dell’apparato governativo statunitense, preoccupato di parare il colpo e di limitare i danni collaterali che la visione “trumpiana” della politica mediorientale potrebbe provocare. Il punto di vista generale del “Trump-pensiero” al riguardo è ben riassunto da un altro tweet dello stesso presidente americano: «Tutte le guerre iniziate sulla base di valutazioni sbagliate o per le quali stiamo ottenendo poco supporto dai Paesi alleati arriveranno presto alla fine».

Ciò che più di tutto ha preoccupato il segretario di stato Mike Pompeo e quello alla sicurezza nazionale John Bolton è stata in fondo una frase che Trump si è fatto sfuggire, questa: in Siria «l’Iran può fare ciò che vuole». Pompeo è immediatamente partito per un tour nelle otto capitali mediorientali degli alleati Usa. Arrivato in Egitto, ha finalmente potuto spiegare in un contesto altamente simbolico, l’Università del Cairo, come stanno veramente le cose secondo lui. Lo ha fatto nello stesso luogo dove Barack Obama il 4 giugno 2009 pronunciò un famoso discorso che scosse ed entusiasmò tanti, aprendo uno spiraglio di speranza nei rapporti fra Paesi islamici e Usa. Quel discorso si intitolava: «Con l’Islam un nuovo inizio». Obama, in quel discorso, riconosceva le responsabilità statunitensi e chiedeva scusa per gli errori fatti dal suo Paese in Iraq al tempo delle Guerre del Golfo. A quel discorso seguì l’accordo sul nucleare iraniano tanto inviso a Trump e al suo staff.

Mike Pompeo è tornato proprio lì per dire qualcosa di molto preciso: «Prima di me – ha puntualizzato il segretario di stato – è stato qui, in questa città e davanti a voi, un altro americano che disse che il terrorismo radicale islamico non derivava dall’ideologia, e che l’11 settembre portò gli Stati Uniti ad abbandonare la sua visione ideale, soprattutto in Medio Oriente. Il risultato di questo errore di valutazione fu un disastro». La nuova era inaugurata da Trump, secondo Pompeo, significa indiscutibile leadership statunitense e alleanza con i regimi arabi per contrastare l’Iran. «Gli Stati Uniti – ha sottolineato Pompeo – useranno queste alleanze per cacciare via dalla Siria fino all’ultimo stivale iraniano» (to expel every iranian boot from Syria). Linguaggio non strettamente diplomatico, per usare un eufemismo, in un discorso che pur elencando i più scontati luoghi comuni della politica trumpiana in Medio Oriente, prende nettamente le distanze dalla presunta gaffe di Trump, quella secondo la quale in Siria «l’Iran può fare ciò che vuole».

Contemporaneamente, il suo collega John Bolton è stato ad Ankara, ma Erdogan non l’ha neppure ricevuto. Sembra che il presidente turco si sia indignato anche per il fatto che gli statunitensi non intendono consegnargli le loro basi in Siria, una ventina. A proposito di un jihadismo ben lontano da essere sconfitto, negli stessi giorni, a Idlib, i miliziani di Hts (ex al-Nusra, al-Qaeda in Siria) hanno messo in fuga le milizie del cosiddetto Fronte di liberazione nazionale, rigorosamente filo-turche, mentre i governativi di Assad, invitati dai curdi siriani, con l’appoggio aereo russo prendevano posizione a Mambij (sotto controllo curdo dalla cacciata del Daesh), e bombardavano l’enclave jihadista di Idlib: un grande smacco per le ambizioni turche in Siria. Bolton per di più se n’è uscito con l’affermazione che gli Usa non se ne andranno dal nord-est della Siria finché il Daesh non sarà veramente sconfitto e i turchi daranno formali garanzie di non attaccare i curdi siriani, alleati Usa.

Rimandato quindi di quattro mesi il ritiro Usa dal nord-est, Bolton ha aggiunto che è inevitabile che le truppe statunitensi restino invece più a lungo nel sud-Est (nella base di Al-Tanf) per controllare le mosse degli iraniani. I “30 giorni” del ritiro Usa dalla Siria sono rimandati.

Comunque, nonostante gli evidenti tentativi di Pompeo e Bolt di allungare i tempi, Trump insiste sul ritiro e ha minacciato Erdogan di distruggere economicamente la Turchia se attaccherà i curdi. Pare che alla fine i due presidenti si siano accordati per realizzare una fascia smilitarizzata, profonda una trentina di chilometri, lungo tutti gli 800 chilometri del confine tra Turchia e Siria, fin dentro ai territori del Rojava curdo, naturalmente a spese dei curdi. Non hanno detto chi controllerà questa enorme “terra di nessuno”, ma la facciata è salva.

 

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