Rincrescimento e buoni propositi

Le reazioni della comunità ebraica e di quella musulmana in Italia all'attacco israeliano alle navi in rotta per Gaza.
freedom flotilla

L’attacco di Israele alle navi in rotta verso Gaza con gli aiuti umanitari ha riacceso la tensione in Medio Oriente. Di nuovo la Terra Santa chiama. E il mondo ha reagito. A tutti i livelli, in ogni nazione. Hanno reagito anche le comunità ebraiche e musulmane presenti nel nostro Paese e le Chiese cristiane.

 

Non deve essere stato facile per gli ebrei che vivono in Italia dire qualcosa. Hanno aspettato due giorni prima di far uscire una nota ufficiale. E non è da loro, vista la capacità che hanno sempre dimostrato in passato e in momenti critici di stare sulla notizia.

 

Poi la nota arriva e dimostra un grande equilibrio. A redigerla è Renzo Gattegna, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane. «In questo momento – scrive – prevale ancora un sentimento di sgomento e di dolore per le vittime, per le quali vogliamo esprimere il nostro più sincero rincrescimento». Gattegna parla di «foschi presagi che poi si sono avverati nel modo peggiore e più dannoso per tutte le parti». Poi aggiunge: «Certamente sarebbe utile un’inchiesta imparziale che faccia piena luce sull’accaduto e chiarisca le responsabilità sull’uso delle armi». Pervade le parole del presidente dell’Ucei un senso profondo preoccupazione e amarezza per la continua escalation di violenza. I giovani ebrei, attraverso il loro presidente Giuseppe Massimo Piperno, hanno esternato il timore che quanto accaduto possa indurre la gente qui in Europa a provare odio per gli ebrei e Israele.

 

C’è una speranza nelle parole di Gattegna che si traduce oggi in un vero e proprio appello: che «si verifichino quanto prima nuovi fatti positivi che permettano l’inversione di questa spirale di violenza, e che l’emotività del momento non tocchi i già complessi e delicati equilibri nell’area mediorientale, scatenando reazioni che farebbero solo il gioco dei nemici della pace».

 

Più immediata è stata invece la reazione delle comunità musulmane che parlano di «ingiustificata aggressione», di «grave e sanguinoso atto di pirateria internazionale» e in una nota della direzione dell’Ucoii ribadiscono che «le navi erano disarmate e recavano esclusivamente generi alimentari, medicinali e materiali da costruzione». Anche i giovani musulmani lanciano un appello: «auspichiamo una ferma condanna da parte dell’opinione pubblica internazionale ed in particolare dalle istituzioni dello Stato italiano, perché atti di questo tipo non debbano mai più ripetersi».

 

La tensione in Medio Oriente rimane alta e fa stare il mondo con il fiato sospeso. Ha ragione Andrea Olivero, presidente nazionale delle Acli, quando dice che «l’imbarbarimento del conflitto allontana la pace». Ma ha ragione anche Olav Fykse Tveit, segretario generale del Consiglio mondiale delle Chiese, quando afferma che «la chiamata ad essere operatori di pace è chiamata alla santità». Ecco perché brilla oggi come una stella l’appello alla preghiera che il Consiglio mondiale delle Chiese lancia in questi giorni in cui si sta celebrando la settimana mondiale di preghiera per la pace in Israele e Palestina.

 

Gli uomini e le donne delle grandi religioni lo possono fare. Possono invocare da Dio il dono della pace per l’intera umanità. Nel 2002 ad Assisi Giovanni Paolo II, parlando ai rappresentanti delle varie religioni del mondo, spiegava: «Pregare non significa evadere dalla storia e dai problemi che essa presenta. Al contrario, è scegliere di affrontare la realtà non da soli, ma con la forza che viene dall’Alto».

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