Rinascono sentimenti di rivalità tra Vietnam e Cina

I due Paesi si contendono la proprietà delle isole Spratly, ricche di petrolio e gas naturale. Nessuno crede che i vecchi rancori esasperati dalle manifestazioni e dalle proteste mettano a rischio crescita economica, fornitura di tecnologie e investimenti finanziari garantiti a tutta l'area dalla Repubblica popolare
Vietnam. Manifestazioni contro la Cina

Cinesi e vietnamiti hanno iniziato a lottare nel 111 a.C. e hanno finito nel 938 d.C. Ancora oggi, nelle strade di Saigon (ora Ho Chi Minh city) ci sono statue di eroi vietnamiti, che hanno guidato, a varie tappe, la lotta contro il colonizzatore cinese. Oltre mille anni di lotta, conclusa con la vittoria vietnamita. I francesi e gli americani avrebbero dovuto leggere la storia, prima d’invadere il Vietnam ed incorrere, come i cinesi, in una dolorosa e amara sconfitta. Ma la storia, probabilmente, non insegna molto a chi non vuol imparare.

Certamente ci sono ancora questi antichissimi sentimenti di rivalità tra Vietnam e Cina, sopiti sotto la cenere del tempo e risvegliati dal conflitto, di non molti anni fa, dal 17 febbraio al 16 marzo 1979. Anche stavolta i cinesi ne uscirono sconfitti.

Ho lavorato in Vietnam dal 1989 fino al 1995. Erano gli anni duri e difficili del dopoguerra con gli Usa e dell’invasione della Cambogia, per scacciare Pol Pot e i suoi seguaci che fecero, all’incirca due milioni di morti. I vietnamiti invasero il territorio cambogiano per proteggere la propria popolazione residente in quella nazione e che era divenuta oggetto di uccisioni indiscriminate da parte delle truppe dei Khmer Rossi, che volevano cambiare il colore del fiume Mekong da marrone al rosso, per il sangue dei vietnamiti assassinati, e al contempo appoggiare un governo a loro favorevole.

Al tempo della mia permanenza in Vietnam, c’erano pochi stranieri: cubani, sovietici, nordcoreani, qualche francese e qualche italiano. Quello che mi colpì subito fu la fierezza del popolo vietnamita: gente davvero determinata a non farsi mettere sotto i piedi da nessuno, cinesi, cambogiani, americani o altri.

Lo stesso accade oggi. Cinque nazioni si contengono le Spratly, circa 750 tra isolette, atolli, barriere coralline più o meno grandi (alcune semi sommerse). Non è difficile indovinare la ragione di tale disputa: nel sottosuolo ci sono giacimenti di gas naturale e petrolio. Perciò Filippine, Cina, Malesia,Taiwan e Vietnam si contengono questo pezzo di mare, ricco di bellezze naturali e di "bellezze" energetiche che valgono davvero tanti soldi. Affamate di risorse energetiche queste nazioni sono pronte a farsi la guerra.

L’inizio di maggio ha visto l’esplodere di questi sentimenti anti-cinesi, quando una nave militare vietnamita è stata "respinta" mentre si avvicinava ad una piattaforma per l’estrazione, proprio sulle isole Spratly e di proprietà della Repubblica popolare.

I lavoratori e la gente comune in Vietnam, a questa notizia, hanno attaccato alcune fabbriche di proprietà di Taiwan pensando, erroneamente, che fossero della Cina continentale. La protesta si è estesa a tutti i cittadini di nazionalità cinese presenti nel Paese, portando la situazione ad uno stato di emergenza assoluta. La Cina ha riposto inviando cinque navi da trasporto per riprendersi i propri cittadini residenti in Vietnam, con il risultato di far montare la rabbia e la protesta fino all’escalation di violenza che ha provocato alcune decine di morti.

La polizia e la diplomazia internazionale hanno calmato gli animi, ma per quanto? Ci sarà un "effetto domino" di sentimenti anti-cinesi anche negli altri Paesi della regione? Difficile dirlo anche se ci sono buone probabilità che ciò accada. Sicuramente c’è chi soffia sul fuoco della guerra e chi potrebbe essere se non gli stessi che vorrebbero prendersi il petrolio e il gas delle Spratly? Questi sono i sospetti che animano la piazza, che non dimentica neppure le responsabilità degli antichi colonizzatori impegnati in questo momento a riprendersi le basi militari nelle Filippine, abbandonate solo qualche anno fa. Il popolo filippino d’altra parte non ha gradito per niente la corsa alle armi del loro presidente Beningo Aquino III, che soffre di una impopolarità diffusa e una delle ragioni è proprio legata all’acquisto delle armi contro il nemico cinese, mentre il popolo soffre di una situazione economica che favorisce i ricchi e non migliora le condizioni dei poveri.

In questo momento i sentimenti anti-cinesi fanno molto comodo per distrarre dai problemi veri. Dal canto suo la Cina, in questi ultimi dieci anni, ha sostenuto lo sviluppo economico di tutti i Paesi della regione con investimenti, tecnologia a basso costo e un ottimo sistema finanziario perchè la moneta cinese Yuan Renminbi ha un ottimo e stabile cambio in tutta l’Asia e non è necessario usare più il dollaro come moneta di scambio.

È probabile che si continui a soffiare a favore di un vento di guerra, resta però improbabile il successo: la Cina è un colosso finanziario che innesca velocità positiva di marcia a tutta l’economia asiatica, e sappiamo che è così anche per il resto del mondo.

Senza un intervento dall’esterno è difficile che i popoli della regione vedano la Cina come un pericoloso rivale. Le economie dell’Indonesia, Malaysia, Filippine si reggono su uomini d’affari cinesi; il 70 per cento della popolazione di Bangkok è di origine cinese e nella capitale thai la lingua degli affari non è l’inglese, ma il cinese. Così in Vietnam: i cinesi fanno lavorare il Paese intero.

La pace resta sempre la base dello sviluppo e il Sud-est asiatico ha conosciuto uno sviluppo davvero incredibile negli ultimi anni, grazie all’economia del "Paese di mezzo", come è il Vietnam.

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