Rinascere dalle macerie

Dalla “guerra fredda” all'attentato delle Torri gemelle. La risposta evangelica ai mali che minacciano il pianeta.
Rinascere dalle macerie

«Da Stettino nel Baltico a Trieste nell’Adriatico una cortina di ferro è scesa attraverso il continente». Le parole di Winston Churchill del 5 marzo 1946 divennero presto famose. La Seconda guerra mondiale è appena conclusa e già si profila una nuova guerra, una “guerra fredda” che contrappone due blocchi internazionali: gli Stati Uniti d’America e i loro alleati della Nato e l’Unione Sovietica con gli alleati del Patto di Varsavia e i Paesi amici. In mezzo il muro di Berlino e la “cortina di ferro”.

Un movimento ecclesiale nato durante la guerra aveva in sé gli antidoti per ogni guerra; un ideale evangelico sorto per l’unità si sentiva naturalmente attratto là dove si ergeva una divisione, un muro, una barriera. Circostanze provvidenziali permisero ad alcuni membri del Movimento dei focolari, soprattutto medici, di penetrare nella Ddr, la Germania orientale. Già nel 1958, in occasione delle Fiere che si tenevano a Lipsia, Chiara Lubich vi inviò Valeria Rocchetti e Aldo Stedile, suoi primi compagni. Poco dopo, alla Mariapoli del 1960, l’incontro estivo che si teneva sulle Dolomiti per i membri del movimento, erano già presenti duecento persone, famiglie, giovani seminaristi, ragazze, provenienti, tra mille precauzioni, dall’Oltrecortina. Tra i convenuti anche esegeti di spicco come Schürmann, Trillino, Hans Lubsczyk. Chiara stessa visiterà Berlino nel gennaio del 1960 e nel maggio dell’anno successivo aprirà il primo focolare a Lipsia. Inizia così una risposta concreta ad una tragedia immane per la società civile come per la Chiesa.

 

L’apporto specifico del focolare? Una fattiva testimonianza cristiana, vicinanza alla gente, servizio, amore. Noi, racconta Chiara, siamo andati lì «con l’idea di amare, amare, amare, amare tutti, parlare poco e fare tanti fatti e presentarsi soprattutto come cristiani interi, persone intere che lavorano bene, che portano avanti la propria professione». Dalla Germania dell’Est il movimento passa in Cecoslovacchia, Polonia, Ungheria, Bulgaria, Romania, Russia, Jugoslavia.

Nonostante i ferrei controlli della polizia i focolarini e le focolarine non vengono mai espulsi. «Ne abbiamo scoperto il motivo – racconterà Chiara in un’intervista a Raitre – quando recentemente hanno aperto gli archivi della Stasi a Berlino… Loro (gli agenti del controspionaggio) entravano, facendosi passare per persone del movimento, nei nostri incontri, però non riuscivano mai a mettersi contro di noi, perché li amavamo. “Amano tutti, amano tutti, sono perfetti dal punto di vista medico, però amano tutti, amano anche i poliziotti”, era scritto su quei documenti. E noi abbiamo visto, insomma, che l’amore veramente è servito e forse ha dato anche un colpetto al crollo del comunismo perché al posto dell’odio naturalmente l’amore ha tutta un’altra funzione».

Il crollo del muro di Berlino nel 1989, simbolo dell’apertura tra i due blocchi Est-Ovest, segnò un momento euforico, quanto effimero, di grande speranza per una pace universale. «Invece di un’era di pace, di rispetto e di armonia tra i popoli – annotava allora Chiara –, stiamo vivendo un tempo di conflittualità, di sopraffazione, di disprezzo della vita umana».

 

Il 1990, appena un anno dopo il crollo del muro, segna l’inizio del primo conflitto armato in Iraq. Che fare? La risposta trova il suo punto di riferimento, ancora una volta, nell’esperienza fatta a Trento durante la guerra, «quando fra poche ragazze – è sempre Chiara – decidemmo di vivere solo per amare, amare Dio e il prossimo. Prima eravamo delle persone sole, deboli e timorose. Ma non appena ci siamo sforzate di vivere l’una per l’altra, di aiutare tutti, cominciando dai più bisognosi, di servirli anche a costo della vita, tutto è cambiato dentro di noi e attorno a noi. Abbiamo sentito nascere nei nostri cuori una potente energia e abbiamo visto la società attorno a noi cambiare volto. È l’esperienza che si può fare e si fa tuttora anche in diversi Paesi in guerra. È l’amore infatti che alla fine vince perché è più forte di ogni cosa. È l’amore che solo rimane dopo tante stragi e distruzioni, e fa rinascere dalle macerie un’umanità nuova».

Il conflitto in Medio Oriente porta Chiara e il suo movimento a considerare tutti gli altri ventitré luoghi dove allora si combatteva: dal Libano all’Armenia, dall’Afghanistan alla Somalia, dallo Sri Lanka alla Cambogia, al Mozambico, all’Etiopia, alla Colombia, al Perù, al Salvador. Come contribuire alla soluzione di queste immani tragedie, si domanda nuovamente Chiara? «Senz’altro – si risponde –, se siamo nelle condizioni e possibilità di farlo, agendo sul piano internazionale e nazionale; poi incrementando tutte le iniziative possibili. Ma, anche qui, data l’immane impresa, soprattutto pregando. Pregare perché il Padre Celeste intervenga sul cuore degli uomini e si spengano le guerre».

Davanti a sé ha sempre l’esperienza vissuta durante la Seconda guerra mondiale: «Speriamo soltanto che nei suoi misteriosi piani Dio voglia trarre, con il suo infinito amore, qualcosa di bene anche da questo immenso male, come ha fatto con l’ultima guerra mondiale, almeno per quando riguarda il nostro movimento».

In questo nuovo impegno d’unità avverte la necessità e l’urgenza di coinvolgere i cristiani e tutti quelli che vogliono il bene del mondo: «Dobbiamo tessere, dove è possibile, rapporti nuovi, o un approfondimento di quelli già esistenti, fra noi cristiani e i fedeli delle religioni monoteiste: i musulmani e gli ebrei. E ciò per collaborare con la Chiesa, e con quanti altri vi sono impegnati, allo sforzo che si fa per mettere pace fra tutti e permettere così il miglior riassetto del Medio Oriente… Ma il fine del nostro movimento – lo sappiamo – non è solo quello di mettere pace in Medio Oriente, dove vi sono cristiani, musulmani ed ebrei». La pace è affare di tutti e domanda l’apporto di ognuno, la sinergia degli sforzi, la convergenza delle iniziative.

 

Un terzo esempio, dopo quello della guerra fredda e del conflitto mediorientale, è quello riguardante le tragedie legate all’abbattimento delle Torri gemelle a New York l’11 settembre 2001 e al contemporaneo attentato a Washington: «Tremendi avvenimenti che ci hanno convinto che assieme a tanto bene innegabile, presente sul nostro pianeta, è vivo più che mai lo spirito del male che, con luce luciferina, può compiere distruzioni tali da mettere in angoscia l’intera umanità».

La risposta di Chiara ai terrorismi che, in quell’11 settembre hanno l’emblema, è in linea con il suo impegno evangelico. Vedendo come alcuni, per far trionfare la loro rivoluzione, si sono ad essa preparati, anche personalmente, con lunga e puntigliosa disciplina, pronti a morire per le loro idee, «noi non sentiamo forse arrivata l’ora di giocare il tutto per il tutto per il trionfo del bene?». Di fronte alla difficoltà di rapporti fra mentalità così opposte, fra popoli così diversi, culture così lontane fra loro, religioni con la presenza di estremisti che le distorcono, uno solo è il rimedio: «La fraternità universale, fare dell’umanità una sola famiglia con Dio Padre e tutti gli uomini fratelli».

Sarà proprio attorno all’idea di “fraternità universale” che Chiara elaborerà un suo organico progetto di pace.

 

(continua)

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