Rimpasto nel governo greco e, forse, nuove elezioni
Tsipras ha allontanato i ministri della cosiddetta “lobby della dracma”, coloro che hanno votato “no” mercoledì scorso. Qualcuno si aspettava che avessero il coraggio di dimettersi, ma non lo hanno fatto. Oggi non si sa quello che succederà nel prossimo voto critico di mercoledì 22, quando i deputati dovranno votare le misure che includono la tassazione degli agricoltori. Si dice che i “no” aumenteranno e non verranno solo dal partito di governo ma anche dai partiti dell’opposizione. Altri sostengono invece che questa volta i “si” di Syriza saranno di più. Detto questo, che succederà nell’immediato futuro? Si discutono vari scenari.
Primo scenario: elezioni a settembre-ottobre. Sembra che questa sia la scelta preferita del primo ministro, che ha le sue buone ragioni: è ancora forte e lo sarà fino a Ottobre, finché cioè le varie misure non saranno ancora attuate pienamente e la gente non avrà ragioni forti per sfogarsi, semplicemente perché non avrà capito completamente le conseguenze delle misure stesse. In più, secondo fonti qualificate, Tsipras mantiene a tutt’oggi l’appoggio di un buon 40 per cento del corpo elettorale, una percentuale che lo rende forte, al punto di non avere bisogno del supporto dell’opposizione. L’incognita viene dalla possibilità che alcune banche chiudano i battenti.
Secondo scenario:le elezioni costano e sarebbe la terza volta in meno di 10 mesi che il popolo dovrà votare. Sembra troppo. La formazione di un esecutivo di salvezza nazionale diminuirebbe l’insicurezza della gente – già l’attuale cooperazione dei partiti ha aumentato la fiducia della gente nel sistema politico – e le reazioni a misure e riforme che stanno per essere introdotte sarebbero limitate o, almeno, controllabili.
Terzo scenario:elezioni all’inizio del 2016. In tal caso, tutti i partiti avranno il tempo necessario per ricomporsi e per realizzare e approfondire quello che si deve fare per il bene del Paese. In più, l’accordo sarà stato firmato e i partner europei non avranno da confrontarsi con l’incertezza di nuove elezioni in Grecia, che potrebbe avere un impatto sulle riforme e più in generale sul funzionamento dello Stato. Inoltre, Tsipras avrebbe tutto il tempo per chiarire le cose all’interno del suo partito. D’altra parte, in questo scenario, il primo ministro rischierebbe però di vedere il suo potere diminuito.
Secondo un sondaggio, la gente non vuole nuove elezioni. In questo sembrerebbe più saggia dei politici. In ogni caso il grosso scoglio che Tsipras deve superare è un dilemma politicamente esistenziale: egli dovrà attuare misure contrarie alle sue convinzioni politiche e alle sue promesse fatte in campagna elettorale. Ciò provocherà una certa inquietudine tanto ai partner europei che ai greci. Come sarà gestito tale dilemma? Dichiarazioni del tipo: «Non credo a questo accordo ma ero costretto a firmarlo», non aiutano né il premier né il Paese, e nemmeno il suo rapporto con le istituzioni europee. Perciò Tsipras deve decidere la direzione che il suo partito dovrà seguire: rimanere attaccato alle sue convinzioni di sinistra, o indirizzarsi verso un centro-sinistra più organico, eventualmente con la cooperazione, formale o meno, degli altri partiti e certamente con i consigli dei tecnocrati e le proposte dei mercati.