Rimini: non solo mare e discoteche

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Ad un primo impatto Rimini appare come una città vivace, ricca di fantasia; esprime in molteplici iniziative le proprie risorse creative: laboriosità, accoglienza, dialogo, imprenditorialità… Aperta a tutte le provocazioni della modernità, Rimini manifesta con eleganza e freschezza la profondità delle sue radici che si perdono nelle pieghe nascoste di lontane origini. La prima impressione non mente, ma, e sembra un paradosso, Rimini non sa comunicare sé stessa. È vero che al tempo del cosiddetto “miracolo italiano”, in parziale coincidenza con la grande ripresa turistica, la città ha reclamizzato le sue attrattive con quelle lusinghe un po’ ingannevoli che accompagnano le operazioni di marketing; ma proprio per questa loro funzione di lusinga e compiacimento non si è premurata di dare una vera identità di sé. Tuttavia, man mano che veniva alla ribalta delle cronache, essa ha scelto che la propria immagine viaggiasse sull’onda dell’avvicendarsi delle notizie e dell’aggrovigliarsi delle opinioni. In fondo tra il non parlare di un luogo, che vive di relazioni, e il parlarne male può essere preferibile la seconda soluzione: se questa infatti si può correggere, l’altra lascia tutto nella desolazione del disinteresse e della lontananza che non produce nulla. Al momento di ricevere, nel 1977, la “cittadinanza onoraria” della città, Chiara Lubich ha tracciato un simpatico e plastico parallelo fra Rimini e il suo movimento che prende origine tra le distruzioni della guerra. Eh sì, Rimini ha lasciato scorrere nelle sue vene risorse individuali “immaginative” e concrete che andavano governate: e non era facile governare la voglia di riprendere in mano il proprio destino in un momento in cui la città, dopo quattrocento bombardamenti, era diventata una specie di ossario sul quale ricostruire la vita di una popolazione. La storia dell’umanità è fatta di infinite modernità, che sopravvengono il giorno in cui il sistema dei valori convenuti non ha più la forza di continuare, e quindi cambia lo scenario in cui dover ripensare la propria vita e il prointernazionalismo, col quale si è sempre misurata; con una realtà che doveva fare i conti con sé stessa, e far tornare conti molto difficili: ogni anno c’era una stanza da aggiungere, un bagno o un telefono da allestire qua e là… Di qui una crescita disordinata, affidata alle cure di tecnici attrezzati di improvvisata professionalità; creando una grande confusione urbanistica: eppure quello fu il primo grande vero miracolo di Rimini. Poi amministrazioni dotate di buon senso hanno saputo interfacciarsi con un ceto medio intraprendente e altrettanto saggio. Molte volte si sono dovuti abbandonare modelli che ci si era dati per governare una ripresa verso precisi traguardi ricchi di consensi, o addirittura proposti da soggetti di tutto rispetto sulla scena mondiale; ma in compenso è nato un rapporto di fiducia e collaborazione che vedeva tutti coinvolti verso la stessa meta. Questo processo innovativo trova consenso in un articolo recente dell'”Istituto storico della resistenza”, che riconosce in chi governava la presenza di una conoscenza viva dei problemi reali. Così è nata quella che poi si è chiamata “città del mare” e “Rimini, spiaggia internazionale”. Per questo si sono abbandonati i modelli di una Rimini emblema della modernità o città dal respiro di una metropoli turistica sul modello americano. Anche se alcuni residui di tale modello non si sono perduti, Rimini, con i suoi dintorni, è però diventata la proposta partecipata e corrisposta di “vacanza della famiglia”, con l’offerta di un mare che poteva essere conquistato passo a passo per chilometri, senza pericoli di affogamenti, con un’arena tra le più morbide del mondo, con un mangiare che garantiva un momento di assoluta piacevolezza, con la cordialità tipica di una società che per essere nata in riva al mare, aveva bonomia e capacità di accoglienza. Sembra, stando alle opinioni, che la città abbia perso una certa capacità di “vivere dentro”… Di fatto i modelli irrompevano anche da fuori, senza lasciare alla città la possibilità di una lettura in senso pratico e strumentale. Poi il Sessantotto con i suoi strascichi culturali ha voluto che le fasce di età più basse trovassero una Rimini accogliente verso un chiassoso ed inquietante universo giovane che sceglieva questa città come luogo di nuova irresistibile facilità, che si esprimeva soprattutto di notte. I rotocalchi parlavano molto di questa “vocazione riminese” tutta rivolta ai giovani, ma creavano anche momenti di grave imbarazzo nelle opinioni e nei giudizi, ma purtroppo anche nella realtà: per le contiguità indocili che non tenevano conto degli interessi generali, e che vivevano la propria vacanza a dispetto di quella altrui. Tuttavia l’opinione e la consistenza di quella che certi organi di stampa definivano “la terra promessa dei giovani: il luogo della trasgressione e il luogo dell’impunità” sono risultate effimere. Il 7 marzo 2000 Andrea Riccardi riceveva la cittadinanza onoraria di Rimini: in quella circostanza affermava che egli ha “imparato negli anni della sua adolescenza trascorsi a Rimini a percorrere i sentieri di pace tra popoli belligeranti”. Chiara Lubich da parte sua il 23 settembre 1997, in occasione del medesimo conferimento della cittadinanza onoraria, notava: “L’innata religiosità, anche se oggi forse mascherata da una fede poco sentita, il grande numero di santuari mariani, che rivela una spiccata propensione dei suoi abitanti verso una chiesa caratterizzata da un marcato profilo mariano, s’accorda con il particolare amore che, nel movimento, si ha per Maria”. Qui stanno le sue radici. Per il forte collegamento con esse Rimini non ha esaurito le proprie risorse nella risposta turistica che era chiamata a dare, e lo ha fatto molto generosamente. Anzi sono emerse capacità creative nuove ed in linea, addirittura anche con buoni margini di anticipo, con le tendenze alla qualità, che stanno caratterizzando ormai tutto il mondo dell’impresa. È di notevole godimento culturale costatare che si sono formati molti poli culturali di vasta rinomanza e si garantivano da sé nella volontà di Rimini di farsi conoscere al di là della proposta turistica. Da una parte il Meeting, poi l’Associazione Papa Giovanni, il Rinnovamento nello Spirito, e le risposte che hanno trovato qui movimenti ecclesiali come quelli dei Focolari e dei Neocatecumenali, e infine la molteplicità di movimenti e gruppi cristiani che si riferiscono ad altre chiese e associazioni di altre fedi religiose. Dall’altra una molteplicità sorprendente e incoraggiante di enti e associazioni laiche, come le Giornate del Pio Manzù, il Ceis (con i suoi molteplici progetti di educazione alla pace realizzati nell’Est europeo e in America latina), gli Alcolisti anonimi, lo Ior e altri ancora… Si è creata una circolarità culturale, e prima ancora spirituale, fra la città e le grandi, o meno grandi, manifestazioni di queste associazioni. Si assiste ad una buona integrazione fra la ricettività turistica (evidentemente si parla sempre di persone e famiglie di gestori) e questi eventi religiosi o laici; c’è proprio un’affezione fra gli albergatori (pur con le rare eccezioni) e gli ospiti. Così, ad esempio, i membri di Cl svolgono nei rispettivi alberghi le proprie “esercitazioni spirituali”, così avviene per gli “incontri nelle case” per i focolarini, e così è per tutti gli altri. Si tratta di decine di migliaia per alcuni movimenti e di ripetute migliaia per altri. E tutti tornano, fino a costituire una sorta di istituzione, con la celebrazione delle diverse ricorrenze e decennali. Si sono così potenziate le strutture secondo le necessità, proprio come si faceva un tempo nelle grandi case di campagna man mano che crescevano le esigenze di accogliere “i nuovi arrivati”. E così è notevolmente accresciuto il senso di accoglienza e ospitalità. Le pubbliche istituzioni, ad esempio, si sono maturate fino al punto da realizzare un grande progetto, portato avanti dall’intera municipalità, di integrazione fra immigrati africani e la popolazione indigena: il “Progetto di Monte Cieco”. È ancora la cultura dell’accoglienza, maturatasi nel corso di questi anni, che ha portato la provincia ad indire, con un enorme dispendio di energie di ogni tipo, le “Prime elezioni per il Consiglio dei rappresentanti degli immigrati della provincia di Rimini”. In realtà Rimini, senza eccessive premure di modificare opinioni formatesi liberamente nel tempo, con o senza interessate motivazioni, ha dato a sé stessa il segno di che cosa può essere una cultura non soltanto devoluta al turismo, ma alla qualità storica di una città che ha coltivato i suoi saperi e le sue più riposte motivazioni, al di là dei propri bisogni intellettuali ed esistenziali.

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