«Rimanere in Siria significa combattere o morire»

Il commento di un lettore all'articolo di Massimo Toschi "Siria. Restare o partire?": più che chiedere di restare in patria, spiega, bisognerebbe spingere i governi non coinvolti nel conflitto a contrastare i mercanti di morte
Siria bombardamenti

Capisco e rispetto l'opinione di Massimo Toschi e del vescovo di Aleppo, monsignor Antoine Audo, ma l'articolo ha un po' troppo l'aria di un appello a restare in Siria, come se questo dipendesse dalla buona volontà dei cristiani o dalle loro disponibilità economiche. Non si tratta di questo a mio avviso.

 

Conosco da vicino molti cristiani siriani che sono partiti con lo strazio nel cuore di lasciare per sempre il loro Paese, senza possibilità di tornarci forse mai. Ma è un Paese senza prospettive di lavoro, di abitazione, di futuro per i figli, un Paese di morte. Un Paese dove i giovani o vengono arruolati (per uccidere) o scappano. E la mia impressione è che tutto questo non sia dovuto prima di tutto ai siriani, ma ai potenti: americani, russi o europei (e sauditi, ecc.) che hanno creato e armano da anni, con forza e determinazione, le cosiddette "parti in lotta" per fini che non hanno nulla di religioso né di democratico.

 

Fare appello ai cristiani siriani perché restino sotto le bombe mi pare disumano. Se c'è un appello da fare è quello di chiedere ai governi meno sporchi di contrastare l'opera dei mercanti di morte che hanno armato e armano i contendenti, ISIL (o Isis, ned) compreso. E i mercanti non stanno in Siria.

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