Rimanere in Lui

“Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto” (Gv 15, 1-2). Gesù sta per tornare al Padre. Nella sua morte e nella sua risurrezione, ormai imminenti, si attua la parabola del chicco di grano che, caduto in terra,muore e porta frutto nella spiga. Gesù compie la sua opera: sulla croce si dona completamente (il chicco di grano che muore) e con la risurrezione dà vita ad un’umanità nuova (la spiga fatta di tanti chicchi). Ma Gesù vuole che la sua opera continui nei discepoli: anche loro dovranno amare fino a dare la vita e così generare la comunità. Per questo, parlando con loro nell’ultima Cena, li paragona a tralci di vite chiamati a portare frutto. Concretamente come essere innestati nella vite? Gesù spiega che rimanere in lui significa rimanere nel suo amore, lasciare che le sue parole vivano in noi, osservare i suoi comandamenti, soprattutto il “suo” comandamento: l’amore reciproco. In quell’ultima Cena ci ha dato anche il suo corpo e il suo sangue. Lui, in noi e tra noi, continuerà a portare frutto e a compiere la sua opera. Ma se rifiutiamo questo rapporto d’amore siamo tagliati via: “Ogni tralcio che in me non porta frutto, [il Padre mio] lo toglie”. Questa azione drastica del Padre non può non risvegliare il timore di Dio. Non possiamo abusare del suo amore. Proprio perché Dio è Amore, è anche giusto. Se taglia è perché costata che il tralcio è già morto, si è condannato da sé stesso: ha rifiutato la linfa e non porta più frutto. Si può cadere nell’errore di credere che portare frutto significhi attivismo, organizzazione delle opere, efficientismo” e si può dimenticare ciò che veramente vale: essere uniti a Gesù, vivere nella sua grazia, o almeno nella rettitudine della propria coscienza. Allora il Padre taglia via il tralcio perché, al di là delle apparenze, lì non c’è più vita. Non c’è quindi più alcuna speranza? La vigna del Signore è misteriosa e lui sa anche innestare di nuovo il tralcio tagliato: ci si può sempre convertire, si può sempre ricominciare. “… e ogni tralcio che porta frutto, [il Padre mio] lo pota perché porti più frutto”. Da cosa vedrò che porto frutto? A chiunque agisce bene non possono non arrivare le prove: sono le manifestazioni dell’amore di Dio che purifica il nostro agire e fa in modo che si arrivi a portare più frutto, esattamente come avviene nella natura con la potatura. Ed ecco i dolori fisici e spirituali, le malattie, tentazioni, dubbi, senso di abbandono da parte di Dio, situazioni le più diverse che parlano più di morte che di vita. Perché? Forse perché Dio vuole la morte? No, ché anzi, Dio ama la vita, ma una vita così piena, così feconda, che noi – con tutta la nostra tensione al bene, al positivo, alla pace – non potremo mai immaginare. Pota proprio per questo. Questa Parola di vita ci assicura che le prove e le difficoltà non sono mai fine a sé stesse, vengono perché possiamo portare “più frutto”. E il frutto non è soltanto la fecondità apostolica, ossia la capacità di suscitare la fede e di edificare la comunità cristiana. Gesù ci indica anche altri frutti. Ci promette che se rimaniamo nel suo amore e le sue parole rimangono in noi, potremo chiedere quello che vogliamo e ci sarà dato, daremo gloria al Padre, avremo la pienezza della gioia. Vale la pena affidarsi alle mani esperte del Padre e lasciarsi lavorare da lui.

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