Rigoletto tra le nebbie

L'opera di Giuseppe Verdi apre la stagione del Teatro dell'Opera di Roma firmato dai Daniele Gatti sul podio e Daniele Abbado. Una simbiosi perfetta tra direttore e regista.

Festa grande al teatro romano per la nomina a Direttore musicale di Daniele Gatti. Per un triennio lavorerà in teatro, con tre opere all’anno, e l’ “allenamento” – così l’ha definito ieri – dell’orchestra, del coro, e non solo. Una conquista, che premia un direttore di fama internazionale, di valore indiscusso nel campo lirico e sinfonico, e la ricerca del sovrintendente Fuortes, giustamente felice della scelta.

Che Gatti sia un musicista serio e profondo lo si era già visto l’anno scorso all’inaugurazione della stagione con La damnation de Faust e l’anno prima con Tristano e Isotta. Verdi e Wagner sono i suoi amori, anzi non può stare un giorno senza un po’ di Wagner, ha detto il direttore.

Ora, il 2 dicembre ha inaugurato il nuovo anno con Rigoletto di Verdi. Opera popolarissima, fin dal 1851. Operazione di rinnovo totale. Non solo per l’allestimento che situa il dramma dal ‘500 alla Repubblica di Salò, nei condomini tra gerarchi, donnine e gente varia in una unica scena semovente, spesso immobile. La regia di Daniele Abbado, fine amante della musica, è equilibrata, i movimenti delle masse e degli attori sono essenziali, al passo con la musica verdiana.  Abbado non è un regista che usa la colonna sonora delle opere per proporre sé stesso, ma lascia cantare, studia i sentimenti, ama le pause e i silenzi. Rispetta, in definitiva, il capolavoro. Perché di opera assoluta si tratta, forse la migliore  di Verdi.

Gatti libera le voci dalle incrostazioni e dai vezzi tradizionali – niente mosse grottesche e acuti inutili, anche nella “Donna è mobile” -, lima i dettagli dei recitativi (si ascolti il monumentale e tragico “Pari siamo”), esalta le sfumature dei duetti – (sentire i l finale aereo di “Lassù in cielo”), alterna lunghe pause a silenzi, cupezze a scoppi di gioia improvvisa a esplosioni tremende (la scena della maledizione). La “tinta”,  a dirla con Verdi, è scura, nebbiosa come in Padania, grigia con alcuni raggi di sole. Rigoletto non ha la gobba, ma è gobbo dentro. Schernisce ed è schernito, è un povero emarginato che ha un solo desiderio, difendere la figlia dal male. E quando non ci riesce, perché  non sa perdonare, si dispera. Verdi lo ama, gli dà melodie appassionate, piange e soffre con lui e noi lo sentiamo  fratello. Gatti estrae dall’orchestra suoni nuovissimi: ottoni drammatici e cantanti – sentire la tromba nel “Vendetta,tremenda vendetta”, i violini incalzanti e splendenti, legni struggenti – le lacrime dell’oboe nel “Tutte le feste”, il fagotto finalmente in rilievo. Un timbro caravaggesco inscurisce  l’orchestra pur tra momenti chiari: la lettura di Gatti è nobile, misurata, pensosa.  Roberto Frontali affronta Rigoletto  più per “levare” che per “accumulare”, liberandolo  dalla tradizione realistica e offrendo un personaggio palpitante, anche vocalmente, talora sommesso, uno che sa di dover indossare una maschera nella vita. Il Duca è Ismael Jordi, bella presenza, voce educata, forse dovrebbe sciogliersi con maggior abbandono. Perfetta la cristallina, luminosa Gilda di Lisette Oropesa, duttilissima, dai “legati” meravigliosi.  Insieme agli altri validi professionisti del cast, va ricordato il coro diretto da Roberto Gabbiani: elegante, più sussurrato che gridato, sulfureo ma con stile tra le luci nebbiose di Gianni Carluccio.

Nelle nebbie della Padania la tragedia “scespiriana” di Rigoletto viene rivelata nella sua grandezza  dolente e amante dalla simbiosi perfetta tra direttore e regista e da un impegno corale di alto livello. Repliche fino al 18 dicembre. Da non perdere.

 

 

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