Riformare la giustizia, ma in modo condiviso.

Pubblichiamo stralci dell'intervista di Paolo Loriga, caporedattore di Città nuova al vicepresidente del Csm, Nicola Mancino.
mancino

Nel dibattito sulle riforme, la giustizia, il ruolo dei giudici, l’identità del pubblico ministero sono oggetto di analisi e di attacchi. Il Consiglio superiore della magistratura (Csm), la cui presidenza spetta al capo dello Stato, è l’organo di governo autonomo dei magistrati previsto dalla Costituzione per salvaguardarne autonomia e indipendenza rispetto al potere esecutivo (il governo) e a quello legislativo (il Parlamento). Dall’agosto 2006 Nicola Mancino ne ricopre l’incarico di vice presidente.

 

 Mettere mano a riforme in materia di giustizia è possibile attraverso leggi ordinarie. Si vanno prospettando invece interventi di rango costituzionale. Quali scenari, allora, si aprono?

«L’ipotesi di interventi legislativi di rango costituzionale in materia di giustizia è periodicamente ricorrente nella dialettica politica italiana, ma non mi sembra che vada per la maggiore in tempi come questi, dominati da ben altre tensioni, in primo luogo nella maggioranza di governo.

«Credo che mantenga piena validità il dettato costituzionale negli articoli (l’intero Titolo IV) della Carta che riguardano l’ordinamento, la funzione giurisdizionale, l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, il Consiglio superiore che ne è garante e tutore, il giusto processo e la ragionevole durata dello stesso, l’obbligatorietà dell’azione penale. C’è, invece, ancora molto da fare per rendere effettivi, e fruibili da tutti, questi principi e, su questo terreno, la legislazione ordinaria può e deve intervenire con urgenza per assicurare che il servizio giustizia corrisponda sempre meglio alle esigenze dei cittadini».

 

Ma come procedere allora?

«Bisogna intervenire sul processo, perché la ragionevole durata divenga effettiva, e bisogna dotare la giustizia di risorse adeguate per metterla in grado di svolgere un compito essenziale al servizio dei cittadini. La necessità che il processo si svolga in tempi ragionevoli risponde non a mere spinte efficientistiche, ma all’esigenza di rendere giustizia, giacché la sentenza pronunciata a distanza di anni dall’introduzione del giudizio non può – per definizione – soddisfare la domanda di giustizia. La consapevolezza, dunque, del servizio primario che i magistrati sono chiamati a rendere deve, utilmente, improntare la loro attività e caratterizzarne l’operato».

 

Da qui la necessità di riforme.

«Non nego che per rendere più efficace e giusta l’azione della magistratura occorra intervenire con adeguate riforme. È un compito che spetta al Parlamento e i magistrati sanno che è loro dovere rispettare le competenze del potere legislativo e applicare la legge. Osservo, però, che anche e, direi, soprattutto in questa materia, è altamente opportuno che l’attività del legislatore vada oltre l’orizzonte della legislatura e, per questo, sia sostenuta da un consenso parlamentare più ampio della stessa maggioranza. Ciò per evitare che una nuova maggioranza parlamentare – sempre possibile – intervenga a modificare riforme non ancora andate a regime».

 

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