Riformare il welfare o lo Stato fallirà

Alle giornate di Bertinoro si parla di sanità e istruzione: diritti non per tutti, costosi per la Pubblica amministrazione, carenti sul piano della qualità. La sfida è la sussidiarietà circolare: enti, imprese e Terzo settore insieme nel gestire e progettare servizi
Giornate di Bertinoro

Il panel di lavori dell’ultima giornata di Bertinoro ha puntato il dito su due dei pilastri in crisi del sistema sociale italiano: sanità e istruzione. Due settori dove i tagli alla spesa sono tra i più sostanziali e dove l’universalismo, cioè la garanzia di questi diritti per tutti, è messo sempre più in discussione. Il "welfare state" delle origini non può essere riprodotto allo stesso identico modo oggi sia per l’elevata tassazione che lo stato dovrebbe imporre per garantirlo, sia per la qualità che non è di fatto uniforme in tutto il Paese. È Ugo Ascoli, docente all’Università Politecnica delle Marche, ad analizzare il divario territoriale Nord-Sud non solo nell’accesso ai servizi, ma soprattutto nella gestione caratterizzata da enormi deficit e costanti commissariamenti. Se il Terzo settore agisce con progetti e proposte interessanti, risulta talvolta un sostituto o un partner, ma non certo un soggetto politico di interlocuzione perché troppo assoggettato ad esasperate logiche identitarie.

Provocatoria è anche la sociologa Chiara Saraceno quando afferma che l’Imu in fondo è davvero l’unico intervento universalistico del nostro sistema, “la stessa tassa per tutti”, ma non manca di sottolineare il costante impoverimento del Paese, chiuso in logiche partitiche poco progettuali che alzano scudi sul reddito minimo e ben poco si preoccupano dei bisogni reali. «Il vero universalismo non dà lo stesso a tutti, ma distribuisce per intensità di bisogni. Perché in Italia un non vedente ha diritto ad un sostegno superiore rispetto ad un paraplegico? Solo perché la sua categoria è più organizzata e sa farsi valere?» Alle provocazioni sottosta un impellente interrogativo sul senso della persona e sulle responsabilità civili dello Stato in un Paese dove la non autosuffienza e l’avanzare dell’età non può essere affrontato solamente stabilizzando badanti.

In questa riprogettazione dello stato sociale una novità, non sufficientemente indagata, è quella del welfare culturale. Pensare a trasformare in attori dei paraplegici oppure offrire attività artistiche e ludiche ad un centro anziani riattiva le persone e le rende meno dipendenti da cure mediche e da assistenza alla persona: il senso e l’impegno del vivere ha costi decisamente inferiori anche per lo Stato, come dimostrano alcune esperienze pilota illustrate dal professor Pier Luigi Sacco dello IULM di Milano.

Il Terzo settore quindi si interroga e sperimenta non più come ente sussidiario o cane da guardia, ma come partner solido, pur con i limiti delle spiccate identità associative che frammentano gli interlocutori con il mondo politico che vorrebbe invece dialogare con un soggetto unico.

Zamagni propone un’ “innovazione di rottura”, come è ad esempio quella della “sussidiarietà circolare”. «È tempo di fare il passo decisivo mettendo la sfera degli enti pubblici e il blocco imprenditoriale e quello del Terzo settore in condizioni, non solo di dialogare, ma di progettare e gestire insieme tutta una serie di servizi nell’ambito del welfare, inteso in senso ampio»  afferma l’economista.

I numeri del no profit vanno certamente in questa direzione, sia per le imprese e le cooperative impegnate sia per le presenze degli addetti e dei volontari: oltre quattro milioni quelli certificati dall’Istat.

A Bertinoro la partecipazione civile la fa da padrona: c’è dibattito, autocritica, ripensamento dei modelli, proposte come quella di Loredana del Mag di Verona, felice di pagare le tasse, ma decisa a «dargli una direzione che non sia solo quella del decisore. Voglio dire la mia su come si spendono i miei soldi o arriviamo a serie azioni di obiezione fiscale». C’è poi l’appello del professor Ugo Arena dell università di Trento per la “ricostruzione dei beni comuni”, perché da Bertinoro può “ripartire la seconda ricostruzione del Paese” investendo sul civile. Qui c’è materia.

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