Riformare i partiti si può? Si deve

Cinque senatori Pd presentano un disegno di legge che riforma i partiti politici: cosa buona e giusta. Ma che, al contempo, preclude la partecipazione alle elezioni e l’accesso ai rimborsi elettorali dei movimenti politici: cosa inopportuna e ingiusta. Ed è polemica
Anna Finocchiaro

I partiti politici vanno riformati.  Parliamoci chiaro: è solo ipocrisia negare che i partiti siano in profonda crisi e che sia indifferibile una loro riforma. Il contenuto dell’art. 49 della Costituzione, che li definisce semplicemente quali libere associazioni di cittadini, finalizzate a «concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale», attendeva (e attende ancora, dopo 65 anni) una legge che portasse a compimento quell’assunto, articolando un quadro normativo che regolamentasse lo status dei partiti (regole di democrazia interna e rapporto con le istituzioni), e attribuisse loro un chiaro livello di responsabilità, da sottoporre e vincolare ad un oggettivo sistema di controlli (trasparenza sull’utilizzo delle risorse pubbliche e certificazione dei bilanci da parte di autorità esterne).

Il disegno di legge dei senatori Pd. Reca il numero 260, porta la firma dei senatori Finocchiaro (nella foto), Zanda, Latorre, Casson e Pegorer, e non è una novità assoluta, perché il testo ricalca una proposta presentata nella scorsa legislatura.

Nei sue nove articoli prevede, anzitutto, la trasformazione dei partiti in «associazioni riconosciute dotate di personalità giuridica» e, in secondo luogo, la necessità di dotarsi di uno Statuto, da pubblicarsi nella Gazzetta Ufficiale entro un mese dalla data di iscrizione del partito nel registro delle persone giuridiche.

Democrazia interna. Il ddl fissa altresì norme cogenti per il rispetto di regole di democrazia interna, con la obbligatorietà del ricorso ad elezioni primarie per la designazione delle candidature alle cariche apicali del partito e per la scelta dei candidati ai vari livelli di rappresentanza (sindaco, presidente di regione, candidato a premier del governo).

Precisa, ancora, i diritti e i doveri degli iscritti e i relativi organi di garanzia; le modalità di partecipazione anche attraverso referendum o altre forme di consultazione; le regole per l'istituzione e per l'accesso all'anagrafe degli iscritti; norme per assicurare parità di genere e attenzione alle fasce giovanili (con risorse destinate alla formazione politica).

Trasparenza e controlli. La regolare tenuta della contabilità sociale ed il rendiconto dei bilanci di esercizio dei partiti – nell’articolato del ddl – sono soggetti a certificazione esterna da parte di una società di revisione iscritta nell'albo speciale tenuto dalla Consob, ed i controlli di conformità sono effettuati dall’apposito collegio istituito presso la Corte dei conti.

È fatto poi divieto ai partiti politici di investire la propria liquidità in strumenti finanziari diversi dai titoli emessi dallo Stato italiano (ci mancherebbe pure, ndr). Infine, l’accesso a tutte queste informazioni dovrà essere assicurato attraverso la loro pubblicazione, entro il 31 luglio di ogni anno, nei siti internet dei partiti e in un'apposita sezione dei siti internet ufficiali della Camera e del Senato.

Tutto ok? La risposta sarebbe stata affermativa se il ddl si fosse limitato a circoscrivere profilo e status dei partiti politici, definendone responsabilità, ruolo e funzioni, così come sopra evidenziato.

Cosa c’entrano i "movimenti" con i "partiti" politici? La polemica – a nostro giudizio sacrosanta – nasce per aver travalicato, nel ddl, gli argini dell’art. 49 che parla unicamente dei “partiti politici”, mentre i “movimenti politici” sono una realtà diversa, espressione della società civile, la cui partecipazione diretta alla vita pubblica è espressione di una modalità concorrenziale ed alternativa a quella dei partiti, di più recente conio e rappresentativa di progettualità innovativa. Sarebbe impensabile, ad esempio, vietare la competizione elettorale, nelle realtà territoriali, alle molteplici liste civiche che esprimono non trascurabili energie e volontà partecipative dal basso.

Un duplice sbarramento. Si legge nel testo del ddl, primo:«L’acquisizione di personalità giuridica e la pubblicazione dello Statuto nella Gazzetta Ufficiale costituiscono condizione per poter partecipare alle competizioni elettorali». E secondo: «Accedono ai rimborsi delle spese per le consultazioni elettorali e a qualsiasi ulteriore eventuale forma di finanziamento pubblico esclusivamente i partiti politici che rispettano i requisiti di democrazia interna e di trasparenza di cui alla presente legge e che hanno ottenuto l'elezione sotto il proprio simbolo di almeno un rappresentante nelle relative consultazioni».

Obiezioni. L’acquisizione della personalità giuridica e la pubblicazione dello Statuto non possono essere la condizione per partecipare alle competizioni elettorali, ma costituiscono solo il pre-requisito per potersi chiamare legittimamente “partiti politici”.

E poi, finanziamenti pubblici e rimborsi elettorali non possono essere riservati solo ai partiti e non ai movimenti politici. Vanno semplicemente eliminati. Per tutti, una volta per tutte.

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