Riforma Nordio e ricerca della giustizia
È indubbiamente difficile nel nostro Paese riuscire ad affrontare con pacatezza e reciproco rispetto temi che fondano le basi della convivenza, e coincidono con i tanti volti della giustizia. Le acque in questo tempo già agitate dalla Riforma Nordio, approvata dal Consiglio dei Ministri il 15 giugno scorso, oggi si intorbidiscono per l’avvio di vicende giudiziarie che investono esponenti dell’attuale maggioranza di Governo: il caso Santanché (ministro del Turismo), il sottosegretario Andrea Delmastro – nei confronti del quale non è stata accolta dal Gip la richiesta di archiviazione del procedimento a suo carico per rivelazione di segreto d’ufficio; il giovane figlio del presidente del Senato La Russa, a seguito di una denuncia per violenza sessuale.
Notizie “ghiotte” per giornali e mass-media, che danno voce a scontri e polemiche nell’incapacità di smorzare i toni e operare le necessarie distinzioni a salvaguardia della riservatezza e del rispetto comunque dovuto alla dignità di ogni persona, anche se sottoposta a indagine, ma sempre garantita – per dettato della nostra Costituzione – in forza della presunzione di non colpevolezza fino alla condanna definitiva (art. 27). Ricordiamo nel merito le parole stesse dell’ex ministra della Giustizia Marta Cartabia (31 maggio 2021): «l’imputato – specie se il fatto è reso pubblico nel circuito mediatico – è esposto a un giudizio (o meglio a un pregiudizio) di colpevolezza sociale, che può avere gravi ripercussioni sulla sua reputazione, sulle sue relazioni personali e sociali, sull’attività economica».
Chi scrive crede profondamente in quelle parole che definiscono la giustizia “custode delle relazioni”: relazioni fra cittadini, fra cittadini e istituzioni, tra le stesse istituzioni, le cui funzioni attingono all’osservanza del principio risalente a Montesquieu della “separazione dei poteri”. Ognuno responsabile del proprio agire, e tutti chiamati a operare nel rispetto reciproco.
Eppure, da tempo, dibattiti senza ascolto, contrapposizioni senza dialogo finiscono per innalzare barricate che rendono difficile, se non impossibile, un retto convincimento nel cittadino disinformato e un servizio vero alla giustizia.
Città Nuova ha già contribuito a una prima chiarificazione sui temi della Riforma Nordio (Città Nuova, 27.6.2023, a firma Stefano Cipriani); ma oggi emergono aspetti che per l’intreccio con le vicende giudiziarie in corso meritano qualche riflessione ulteriore.
Lo scontro che investe la Santanché, al di là del merito, è originato dalla pubblicazione (nel Quotidiano il Domani) della notizia riguardante l’indagine a suo carico, senza che l’interessata avesse ancora ricevuto alcun avviso di garanzia. Avrebbe dunque ragion d’essere la nuova previsione – introdotta peraltro già in precedenza nella Riforma Nordio – che, sancendo espressamente il divieto di pubblicazione, pone evidenti limiti alla divulgazione dell’informazione di garanzia?
Un aspetto che si innesta in un clima polemico per il rischio di un “bavaglio” al giornalismo d’inchiesta, ma che ha trovato di contro opportuni chiarimenti. Il professor Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte costituzionale, ha infatti ricordato in una recente intervista (al Messaggero) che «l’avviso di garanzia nasce come strumento di informazione per chi è sottoposto a indagine, affinché possa esercitare pienamente il suo diritto alla difesa e nominare un difensore»; non è dunque un «avviso al pubblico», come del resto è previsto all’art. 111 Cost.: «la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico».
Nella stessa direzione, la Riforma prevede che nell’informazione di garanzia, che reca attualmente l’indicazione delle norme che si assumono violate, sia contenuta una “descrizione sommaria del fatto” – oggi non richiesta, anche se dovrebbe fondarne l’addebito.
Ė vero che ogni riforma presenta luci e ombre, ma è lo sguardo alla persona a segnare quel punto di equilibrio, in forza del quale la politica dovrebbe astenersi da toni che suonano di accusa o lesivi dell’altrui integrità personale; la magistratura, proprio in ragione della sua indipendenza, potrebbe per sé offrire al dibattitto elementi di obiettiva chiarificazione circa gli effetti delle nuove norme. Ė alla legge del resto che, per dettato costituzionale (art. 101), ogni giudice è soggetto.
Né la giustizia può diventare strumento per cartelli elettorali o in una contrapposizione fra schieramenti: l’uso strumentale e divisivo non si accorda con una giustizia a servizio del cittadino.
Anche l’ex ministro della Giustizia nel governo Prodi, Giovanni Maria Flick, in un suo recente intervento (su la Stampa), si è pronunciato in merito alla Riforma Nordio: in particolare, sul tema delle intercettazioni, strumento certo indispensabile, non ne tace l’ “abuso”, e su questo – avverte – «dobbiamo porci delle domande, i magistrati per primi». Riflessione necessaria, dunque, specie a fronte di strumenti particolarmente invasivi come il trojan; né possono essere questi strumenti ordinari d’indagine.
Per le modalità, finiscono per travolgere la reputazione e la sfera di riservatezza anche rispetto a soggetti terzi, diversi dalle parti eventualmente coinvolte in una vicenda oggetto d’indagine. Ed è nell’obiettivo di offrire maggiori garanzie al cittadino, che lo stesso Mirabelli ritiene che un aspetto positivo della Riforma sia quello di distinguere «le prove dalle chiacchere».
Ancora, in merito alla recente “imputazione coatta” nei confronti di Delmastro, avverte che si tratta di «un meccanismo singolare», che esige «molto equilibrio». Si basa infatti su un provvedimento del giudice che non accoglie la richiesta di archiviazione avanzata dal PM, a cui impone piuttosto di formulare l’imputazione. Un equilibrio – tra le due distinte funzioni di iniziativa e di controllo – da ricercare non nell’astrazione di una procedura, bensì per accordare giustizia.
Un obiettivo rispetto al quale anche la Riforma Cartabia, adottata in vista del raggiungimento degli obiettivi del PNRR, evidenzia oggi nell’attuazione operata con il D. Lgs. n. 150 del 2022 aree di criticità. Per tutte, l’estensione dei reati procedibili a querela: estensione introdotta con l’effetto di ridurre il sovraccarico giudiziario, che lascia in realtà la tutela penale nelle mani della vittima.
E ciò anche quando ricorrono aggravanti, si pensi a quella del “metodo mafioso”, e nell’impossibilità di procedere all’arresto in flagranza del reato – ad es. oggi per un furto aggravato – in caso di assenza o irreperibilità della persona offesa, circostanza che evidentemente non permette l’immediata ma necessaria querela. La stessa Relazione 5.1.2023 – Ufficio del Massimario – Servizio Penale della S. C. di Cassazione, che reca il lungo elenco dei reati contro la persona e il patrimonio resi procedibili a querela (fra i primi, ipotesi come le lesioni personali stradali gravi e gravissime, o il sequestro di persona), fa notare che «la natura individuale dei beni giuridici protetti», posta a monte delle scelte operate, denota la «tendenza ad una privatizzazione (o patrimonializzazione) della tutela penale».
Il rischio, quindi, è di lasciar solo il cittadino-vittima, che magari con violenza o minaccia (anch’esse oggi procedibili a querela) può venire dissuaso dalla presentazione stessa della querela.
Se le relazioni sono al cuore del diritto, la giustizia che le esprime e se ne fa garante deve tener conto di tutti e di ciascuno, ciascuna: non può, o meglio, non deve, assumere colore politico, né tanto meno rispondere al sogno di qualcuno, piuttosto concorrere a realizzare, per quanto possibile, il bene comune dell’intera collettività, che si nutre di verità e attenzione all’altro, specie là dove i vuoti relazionali esigono tutela.