Riforma Gelmini, si tratta prima del voto

La discussione alla Camera è slittata al 30 novembre. Studenti ancora in mobilitazione, si cerca un accordo. La parola, questa volta, va a loro.
università

Se si volesse far ricorso alle complessità psicologiche per spiegare i motivi che hanno portato il ministro per l’Istruzione a votare contro il suo stesso progetto di riforma universitaria, giovedì 25 novembre alla Camera, si potrebbe far riferimento al classico lapsus freudiano. Maria Stella Gelmini ha spiegato, però, che si è trattato ovviamente di un errore. Per Freud, in questo caso, potrebbe anche trattarsi di un “atto mancato”; un modo attraverso cui si manifesta e si realizza un desiderio inconscio. Ma lasciamo perdere…

 

Qualunque sia il motivo per cui il governo è stato battuto su un emendamento proposto da Fli il risultato al momento non cambia: la discussione della riforma è slittata a martedì 30 novembre, con somma gioia di tanti studenti, ricercatori e docenti (ormai paiono la maggioranza), tuttora impegnati in dure manifestazioni di protesta in tutta Italia. Una strategia, quella della dimostrazione eclatante, scelta da pochi giorni, forse dopo aver tratto ispirazione dalla grande mobilitazione degli universitari inglesi, che hanno occupato finanche l’edificio che ospita i servizi segreti interni e il quartier generale dei Tory.

 

«Dopo due anni di proposte e di proteste pacifiche, trascorsi senza alcun risultato – afferma Roberto Piumatti, studente di Informatica, uno degli occupanti di Torino – abbiamo capito che era necessario passare a forme di protesta più estreme per farci ascoltare. Siamo stati definiti conservatori, cosa che non siamo perché non vogliamo mantenere lo status quo. Non ci sembra che la riforma proponga soluzioni, anzi va a creare nuovi problemi con la presenza di privati nei consigli di amministrazione e un’impostazione molto aziendale dell’università, che modifica gli obiettivi e trasforma la didattica in un supporto alla formazione e alla ricerca delle aziende, più che in un metodo di formazione per gli studenti».

 

E così, in tutta Italia, è scattata l’occupazione di monumenti simbolo della cultura. Prima è scattato l’assalto a Palazzo Madama, sede del Senato. Poi sono stati scalati e occupati, anzi okkupati, le Università, il Colosseo a Roma, la Mole Antonelliana a Torino, la basilica di Sant’Antonio a Padova, la Torre di Pisa, la Torre del Mangia a Siena. Per non parlare della notte bianca fiorentina e dell’“abbraccio” dell’ateneo di Trieste.

 

Ma perché tante proteste?«Come due anni fa – spiegano i rappresentanti dell’Unione degli universitari – le università sono in rivolta contro quello che sembra un “attacco finale” all’istruzione di qualità. Questa volta non si parla solo di fondi, ma di privatizzare veramente i nostri atenei, di metterli in mano ai rettori, ai baroni, ai privati. Si parla di sostituire le borse di studio con prestiti d’onore, si prospetta – in sintesi – la fine del diritto allo studio». E cosa vogliono gli studenti? «Chiediamo – aggiungono i rappresentanti dell’Udu – il ritiro di questo disegno di legge e una riforma vera dei nostri atenei, che parta dalle esigenze e dai bisogni dei studenti. Chiediamo più democrazia nei nostri atenei, più finanziamenti e meno sprechi. Corsi di laurea di qualità, un’università aperta a tutti e un diritto allo studio che possa garantire maggiore autonomia agli studenti».

 

«La riforma – afferma Roberta Russo, studentessa dell’Orientale di Napoli e coordinatrice campana dell’associazione studentesca Link-Coordinamento universitario, che insieme all’Uds formano la Rete della conoscenza – va a smantellare l’offerta didattica delle università. Le Università ritenute non meritevoli, inoltre, hanno il blocco del turn over. È quanto capitato anche all’Orientale, che pur offrendo una formazione di qualità e variegata, sta andando verso una dequalificazione della didattica: i docenti in pensione non vengono sostituiti, intere facoltà, come quella di studi arabo islamici, diventano corsi di laurea, i corsi vengono dimezzati e accorpati senza una vera logica, ma in base alle necessità. Inoltre, si diminuisce la rappresentanza degli studenti negli organi di governo universitari e, insieme ai tagli, di fatto si precarizza la figura del ricercatore. Diventare docente sarà sempre più difficile».

 

Lo sa bene una contrattista da anni impegnata a cercare di costruirsi un futuro professionale. Dopo la laurea e il dottorato, da anni va avanti, con marito e figlio, con contratti annuali e un futuro sempre più incerto. Le nuove assunzioni, infatti, spiega, verranno fatte in base ai curriculum, al numero di pubblicazioni, senza tener conto se le ricerche fatte sono poche e di qualità, o tante ma senza pregio. I più penalizzati, in tutta questa vicenda, sono come al solito gli studenti: hanno cominciato in ritardo le lezioni e hanno già perso un appello per gli esami. Il futuro, poi, è ancora più incerto.

 

Martedì la riforma tornerà alla Camera. Se approvata, si passerà al Senato, anche se il ministro Gelmini annuncia che, se sarà stravolto, ritirerà il ddl. Che di una riforma ci sia bisogno, lo sanno tutti. Bisogna ridurre gli sprechi, riorganizzare il lavoro. L’augurio, già formulato dal presidente della Repubblica, è che si possa arrivare ad un testo condiviso, che promuova e sostenga l’alta formazione e la ricerca in Italia.

 

 

 

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