Riforma di quale giustizia?
Il contributo di una giurista sui provvedimenti che vorrebbero modificare l'ordinamento della magistratura. No ai privilegi, sì all'ingresso dei giovani
Che cosa s’intende con “riforma della giustizia”? Solo la separazione delle carriere tra pm e giudici? O solo “scudi” alle principali cariche dello Stato? La riflessione d’un’avvocato.
Il tema ricorrente di questi mesi è quello delle riforme che il governo si appresta a varare. Quando sento un notiziario mi chiedo cosa pensi il cittadino nel sentire pronunciare la frase “riforma della giustizia”. Sono certa che potremmo rilevare una miriade variegata di interpretazioni legate all’esperienza che ciascuno di noi ha avuto con il mondo giudiziario. Basta pensare ad una lite condominiale o ad una difficile divisione ereditaria, alla separazione tra marito e moglie o ad un incidente stradale in cui sembra impossibile individuare con certezza torti e ragioni: tutte circostanze che ci hanno portato ad avere a che fare con un avvocati e giudici.
Eppure la giustizia è una macchina ben più ampia e complessa. Dire che oggi assistiamo alla riforma della giustizia significa non nei fatti dire quasi nulla. Dovremmo con maggiore esattezza prendere atto che prossimamente vedremo riformare una parte dell’organizzazione relativa ad alcuni soggetti che contribuiscono a fare camminare questa poderosa macchina. Infatti l’intero sistema giudiziario è molto articolato e complesso: non è composto solo da magistrati ma anche da avvocati e da tutto il personale che lavora nell’amministrazione. Per non dire poi delle parti coinvolte nei diversi procedimenti di qualunque natura essi siano: penale, civile, amministrativa, tributaria, ecc.
Anche l’ordine forense sta portando avanti un’ampia riforma di cui, in questi giorni, si discute molto in Senato e poco sui giornali. Il personale amministrativo si va palesemente assottigliando con conseguenze di cui si accorge bene chi frequenta quotidianamente le cancellerie dei palazzi di giustizia. Molte sono le ragioni addotte per giustificare la riforme in atto, di varia natura. Tuttavia dovremmo chiederci non solo i perchè dei cambiamenti, ma anche quali sono i più ampi criteri ai quali il legislatore dovrebbe attenersi per dare nuovo slancio e vigore a quanti si rendono garanti dell’applicazione retta del diritto (e sono molti!).
Mi permetto di suggerirne alcuni: evitare di restare attaccati ai privilegi acquisiti delle categorie (ordini professionali compresi); agevolare l’accesso dei giovani alle carriere giuridiche usando soluzioni dettate dall’intelligenza prima ancora che dai numeri; elaborare soluzioni moderne (anche nei diversi riti processuali) tenendo ben presente che modernizzazione ed informatizzazione non coincidono; porre al centro della riforma i destinatari della giustizia. Ogni volta che si cambiano le regole di un sistema dovremmo ripartire tutti insieme sulla base delle novità introdotte, compresi “gli anziani” che non hanno certo facilità a porsi a confronto con i giovani e preferiscono barricarsi dietro le posizioni acquisite negli anni. Se poniamo troppi sbarramenti per limitare l’accesso dei giovani alle professioni giuridiche, difficilmente potremo sperare in un rinnovamento culturale e metodologico del sistema giudiziario e le riforme meramente organizzative produrranno risultati ben inferiori a quelli auspicati.