Riflettori puntati su Palawan

Come vivere la spiritualità dell'unità nel proprio lavoro di giornalista? Un seminario a Puerto Princesa invita a sviluppare la capacità di offrire un'informazione veritiera, al servizio della pace
Giornalisti

L’esploratore Antonio Pigafetta ha definito l’arcipelago di Palawan, nelle Filippine, la “Terra promessa”: e davvero deve essergli sembrata tale, dopo essere scampato con i suoi compagni alla furia di Lapu-Lapu e dei suoi guerrieri, che avevano ucciso Magellano nel 1521. E anche oggi è difficile non innamorarsi di queste isole: il fiume sotterraneo è annoverato tra le sette meraviglie del mondo dall’Unesco, vi trovano rifugio più di 200 tipi di uccelli, 600 specie di farfalle e 1500 di piante, oltre a molti altri animali che non si trovano da nessun’altra parte.

 

Ma, per quanto il turismo sostenibile possa rappresentare una risorsa preziosa per queste zone, il loro ecosistema unico al mondo è seriamente minacciato dallo sfruttamento – anche illegale – delle miniere e delle foreste: è servita la morte di Gerry Ortega (nella foto), giornalista e ambientalista, per attirare l’attenzione non solo del governo filippino, ma anche del resto del mondo, sulla necessità di proteggere quest’area. A ciò si aggiunge la tensione generata dalla disputa tra Cina e Filippine sulle isole Spratly, parte di questo arcipelago.

 

È in questo contesto che lo scorso 17 marzo si è tenuto a Puerto Princesa (capitale della regione, ndt) un seminario sulla comunicazione, al quale hanno partecipato 35 operatori dei media locali. L’incontro ha dato seguito a quello del 15 ottobre precedente: chi vi aveva preso parte è quindi stato invitato a condividere come sta mettendo in pratica la spiritualità dell’unità nel proprio lavoro. Uno studente ha raccontato di come siano stati proprio questi princìpi a spingerlo a intraprendere la strada del giornalismo, cercando di diventare «un giornalista che lavora per la pace, non che semina odio e divisione».

 

Il cuore dei lavori è stata lanalisi delle luci e ombre del mondo dei media a Palawan, grazie alla discussione in gruppi divisi per settore – stampa, Internet, televisione, ecc. Se infatti ci sono diversi aspetti positivi nella realtà locale – la libertà di stampa, la facilità di accesso alle informazioni, il rispetto dei valori culturali e religiosi e il continuo aumento delle risorse mediatiche – esistono anche alcune criticità: la pressione da parte dei politici e la dipendenza nei loro confronti, la manipolazione dell’informazione, i compensi inadeguati, le minacce ricevute da alcuni giornalisti. Esiste poi il fenomeno del cosiddetto “giornalismo di busta”, delle vere e proprie “mazzette” pagate ai cronisti per nascondere la verità.

 

Davanti a questa realtà, Anna Colayaco – giornalista con vent’anni di esperienza nel campo internazionale – ha proposto Maria come modello di comunicatore, riprendendo un intervento di Chiara Lubich del 2004: una «camera oscura che assorbe tutto il negativo, per poi farne uscire il positivo e far risplendere la verità». I partecipanti hanno accolto con entusiasmo questa proposta: «Seminari come questo – ha affermato Junfred Calamba – sono ciò di cui c’è bisogno per migliorare la nostra capacità di dare informazione veritiera». «I giovani hanno “fame” di mezzi di comunicazione veri, giusti, obiettivi e positivi per portare l'unità – ha osservato Ofie Rodina –. I professionisti del settore vogliono davvero esserne i promotori, ma spesso le ombre che sembrano prevalere spengono il loro desiderio di rimanere nella luce».

 

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