Rienzi, l’ultimo tribuno di Roma
Strano, ma vero. Nello stesso anno, il 1842, debuttano (i lavori precedenti sono tentativi più che affermazioni personali) sia Verdi che Wagner, due coetanei, due “rivali”. Il primo col Nabucco, il secondo con “Rienzi, l’ultimo dei tribuni”. Due opere a loro modo patriottiche, due rivisitazioni storiche, quella verdiana biblica, quella wagneriana “romana” e “italiana”.
I cinque atti con ballabili e pantomima del Rienzi “grande opera tragica”, come la definisce Wagner, autore pure del libretto, presentano situazioni classiche del grand-opéra (ovvero, un “kolossal” musicale dell’epoca): scene di massa, amori contrastati, furori libertari, sogni nostalgici di far rivivere l’antica Roma, tensioni fra Orsini e Colonna. Wagner, si sa, è autore onnivoro, vuol dire tutto in lunghe scene recitate, in cori, in arie ora intime ora furenti.
L’ouverture è molto bella, grandiosa, scintillante, marziale e fa intravedere il futuro genio. Wagner dimostra uno spiccato senso dell’orchestrazione, del colore strumentale, nonostante gli evidenti ricordi di Beethoven e di Weber. Questo gusto per una orchestra spessa, fluttuante, per le dissonanze che “frenano” la cantabilità melodica avrà notevolissimi sviluppi in seguito. Naturalmente l’operona risente molto di Donizetti e di Meyerbeer: la melodia dolce e mossa donizettiana percorre diversi “concertati” e Wagner si rivela autore esperto nel rivisitare a suo modo i colleghi contemporanei, aggiungendovi tocchi di cori a cappella, inni guerrieri e l’immancabile scena poetica, uno dei vertici dell’opera: la vasta preghiera dell’inizio dell'atto quinto dove la strumentazione è innovativa – per l’epoca- giocata com’è sul glissando morbido degli archi.
Rienzi, cioè Cola di Rienzo, muore mentre Roma è incendiata e questo ha permesso a Hugo de Ana, cha ha curato l’allestimento, di inventarsi un altro momento fantastico, stile kolossal storico, con proiezioni di immagini – fiamme o eserciti in bianco e nero, testi in latino o in italiano (del Petrarca) che si compongono e scompongono con efficace effetto visivo, con un palcoscenico scarno per lo più, dominato da statue classiche neobarocche.
Sul proscenio la folla in costumi para-antichi e modernizzati – uomini con fucili, ma anche con spade – crea il senso della rivisitazione metastorica del passato, ma non disturba la musica e questo è già un gran bel risultato.
Il secondo cast purtroppo non era del tutto all’altezza vocale richiesta dal ruolo, anche se scenicamente e attorialmente valido. La direzione accurata di Stefan Soltesz ha ottenuto sonorità molto belle dall’orchestra in ogni sezione ed occorre dire che quest’ultima, plasmata come è da direttori di valore, sta dando il meglio con una sua ben precisa personalità. Purtroppo il rapporto buca-palco-coro ha avuto momenti di smarrimento (come pure si sono notati diversi errori ortografici nei testi proiettati…). Ma lo spettacolo ha funzionato e questo giovane Wagner ha potuto offrire i suoi spunti per l’avvenire. Si replica il 18 maggio.