Ridurre il debito privatizzando beni pubblici

Comprare proprietà statali in disuso o persino i titoli in mano ad investitori esteri: potrebbe essere la prossima proposta del governo per favorire lo sviluppo e riacquistare la fiducia del mercato
case popolari

Secondo le statistiche 2010 della Banca d’Italia la ricchezza delle famiglie italiane è pari a 9525 miliardi di euro: 4950 in immobili, 974 in altre attività reali e 3524 in attività finanziarie, di cui 1233 in tanti depositi con meno di 50.000 euro.

I debiti dei 24 milioni di famiglie italiane ammontano invece a 887 miliardi di euro, quindi la ricchezza netta è di 8638 miliardi, in media 360.000 Euro per famiglia; il che significa 8,2 volte il reddito annuo familiare medio, quindi le famiglie italiane hanno riserve per oltre otto anni, molto più delle famiglie francesi, inglesi ed americane.

 

La manovra del governo Monti ci ha salvato dal baratro dell’insolvenza in cui sono caduti altri paesi europei, ma il mercato continua a pretendere il 7 per cento per investire nei nostri titoli. Essendovi 400 miliardi di titoli in scadenza, se non si trova un’altra soluzione solo per rinnovarli dobbiamo impegnarci a pagare per gli anni futuri venti miliardi di interessi all’anno in più degli anni passati. Dovendo poi rispettare il pareggio di bilancio, ogni anno dovremmo per essi ridurre di altrettanto la spesa pubblica o innalzare le imposte, sprecando risorse che invece ci servirebbero per rilanciare il lavoro, la ricerca, la formazione e la internazionalizzazione delle nostre imprese.

 

Pur avendo risparmiato 50 miliardi, nel 2010 le famiglie hanno visto scendere il valore della loro ricchezza di ben 180 miliardi di euro e nel 2011 la perdita sarà ancora superiore, perdita naturalmente concentrata su quel dieci per cento di famiglie che possedendo in media 1,6 milioni di euro ciascuna, detiene il 44 % della ricchezza totale.

 

L’uscire dalla trappola della mancanza di fiducia è di vitale interesse per chi cerca un lavoro, ma lo è altrettanto per chi vede evaporare una parte rilevante di quanto possiede non per le imposte, ma per colpa del mercato e questa è una situazione che accomuna tutti, chi possiede perché ha ereditato, chi si è reso agiato onestamente con il suo lavoro e chi ha accumulato evadendo le imposte o per altre vie ugualmente illegali.

 

Sembra ormai che l’Italia per tornare ad emettere titoli con rendimenti consoni ad un paese dell’area euro, non potendo contare sul sostegno di altri paesi ad esempio tramite gli eurobond, non possa che ridurre nei prossimi mesi il ricorso al mercato, convincendo con incentivi, e se necessario obbligando i suoi cittadini più abbienti, ad investire in beni pubblici in disuso ed alienabili. E quindi imponendo non una nuova tassa, ma la partecipazione ad un investimento in proporzione al patrimonio di ciascuna delle famiglie più abbienti, quelle che possiedono il 44 per cento della ricchezza nazionale.

 

La proposta sarebbe che lo Stato crei quanto prima un Fondo di Investimento specifico, amministrato da un liquidatore unico scelto dal capo dello stato tra quanti hanno già dato buona prova di se, a cui vendere al loro valore attuale, per un totale di 300 miliardi di euro, immobili e terreni pubblici non utilizzati. I giornalisti Mucchetti e Cisnetto sembrano essere giunti a conclusioni simili.

 

Il liquidatore dovrebbe per legge avere la garanzia di ottenere dalle amministrazioni locali delle destinazioni d’uso per gli immobili favorevoli ad un aumento del loro valore, in modo da poterli rivendere quanto prima a privati e rimborsare con un utile le quote dei sottoscrittori. Dopo cinque anni quanto rimasto invenduto dovrebbe essere riacquistato dallo Stato al prezzo di conferimento, rivalutato del valore dell’inflazione, in modo da rimborsare senza perdite le quote residue del fondo.

Ogni famiglia italiana potrebbe sottoscrivere quote del fondo, ma quelle che con beni che superano un milione di euro dovrebbero avere l’obbligo di sottoscriverne per il 7 per cento della loro ricchezza. Se poi esse non volessero o potessero attenderne il rimborso, potrebbero vendere le loro quote sul libero mercato.

 

Tempo fa un imprenditore aveva suggerito agli italiani di risolvere il problema del debito comperando loro i 900 miliardi di titoli in possesso di investitori esteri, cosa certamente fattibile; l’altra strada, non vi sono molte alternative, può essere quella di invitare o obbligare gli italiani ad investire in un titolo garantito direttamente da beni pubblici inutilizzati del nostro paese.

 

Questa soluzione, se portata avanti con grande trasparenza ed alla luce del sole in un arco di tempo definito, potrebbe rivelarsi davvero un’occasione di sviluppo economico ed anche di profitto diffuso, diversa da simili operazioni di cartolarizzazione che sono state affidate a grandi banche, spesso con risultati inconcludenti ed occasione di spreco di risorse pubbliche a vantaggio di grandi banche e furbetti del quartierino.

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