Ridurre il costo del lavoro per avere un futuro
Ripresa delle trattative e cuneo fiscale: una ricetta per appianare i contrasti tra la Fiat di Marchionne e la Fiom.
Per oltre mezzo secolo, quasi fosse una azienda di stato, la Fiat è stata tenuta al riparo dai concorrenti stranieri, e per costruire i suoi nuovi stabilimenti in aree del paese che avevano grande bisogno di posti di lavoro, ha assorbito una notevole fetta delle risorse pubbliche destinate alla ricerca ed all’innovazione industriale. Grazie a tutte queste risorse, la Fiat ha sviluppato importanti attività all’estero, diventando una multinazionale, ed adesso come tale ragiona, con davanti l’intero mercato mondiale in cui cerca il modo più economico per muoversi in futuro.
La Fiom, invece, ragiona in base a tutto quello che in Italia alla Fiat si è concesso in passato. Si possono fare cortei e dimostrazioni, ma la realtà è che non si hanno argomenti legalmente validi per obbligare la Fiat ad agire diversamente: semmai tali obblighi andavano definiti quando si concedevano alla società benefici a non finire, anni fa avevo detto “meno male che di Fiat in Italia ce ne è una sola”.
Marchionne adesso vuole investire per ritagliarsi una fetta dei mercati di automobili di lusso asiatici e la Serbia è pronta a costruirgli gli impianti con finanziamenti della comunità europea, quelli che l’Italia oggi usa per finanziare la cassa integrazione in rosso invece che per lo sviluppo delle aree in difficoltà.
La Fiat è in posizione di forza e sta recuperando quanto in Italia proprio essa stessa aveva voluto concedere in passato ai lavoratori, quando le importava solo produrre senza ostacoli; allora aveva convinto lo Stato alla famosa indicizzazione degli stipendi con l’inflazione, poi eliminata dal governo Ciampi con l’accordo del sindacato, dopo che aveva portato in Italia una inflazione disastrosa.
Adesso Marchionne vuole recuperare una serie di altre concessioni che riducono la possibilità di pieno utilizzo degli impianti, senza portare soldi nelle tasche dei lavoratori, ma che a volte rendono possibile il lavoro in fabbrica anche per chi magari è solo con figli o con anziani, che non potrebbe accudire se facesse turni di notte o festivi. Concessioni quindi importanti per alcune categorie di persone, ma non essenziali per tutti e se ci si mettesse intorno ad un tavolo di trattativa si potrebbero mantenere per chi ne ha davvero bisogno.
Ma Marchionne non vuole dilungarsi in trattative, perché deve decidere in fretta o forse perché il non trovare un accordo con Fiom come con gli altri sindacati, può diventare una buona scusa per investire quasi gratis in una Serbia che in aereo può raggiungere da Torino più facilmente che le fabbriche del meridione, con un costo del lavoro che è un quarto di quello italiano.
Non va, infatti, dimenticato che per una azienda il costo del lavoro è molto importante e che se i lavoratori italiani non guadagnano più della media europea, il costo del lavoro per le aziende italiane è il doppio di quanto arriva in busta paga. Così il lavoro italiano ha una validità economica per produzioni che vanno all’esportazione solo per produzioni di eccellenza, il design, la moda, i vini e prodotti alimentari di qualità, l’arredamento e le alte tecnologie, o se legato al territorio per la cultura ed il turismo, non per catene di montaggio: ecco perché è urgente trovare risorse per ridurre il costo del lavoro, come con il famoso cuneo fiscale, un intervento di grande valore del governo Prodi, infelicemente descritto con un temine incomprensibile ai più.