Ridix, non solo affari

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Clem Fritschi comincia con una premessa: «Prima di dirti qualcosa sulla nostra azienda, devo confessarti che quando mi hai proposto quest’intervista mi hai colto in un momento in cui mi sentivo un po’ demotivato. E mi sembrava giusto dirtelo, aggiungendo che avrei preferito rimandare l’appuntamento. Poi, parlandone con Michele Michelotti, ci siamo resi conto che entrambi provavamo la stessa difficoltà, perché in qualche modo mancava una vera comunicazione fra di noi, e quindi era come avanzare al buio. Avendo rimesso le cose in chiaro, in un certo senso avendo ripreso “ad amare”, non è che i problemi siano spariti, ma la luce è tornata, e mi sento più sereno». Perché questa premessa? Clem Fritschi: «Perché ti ho già fatto capire una condizione indispensabile per vivere il progetto dell’EdC in azienda: nessun compito o problema deve diventare più importante del rapporto con le persone. E non è mica sempre facile; alle volte mi faccio prendere dall’affanno e dalla preoccupazione. Ma anche per questo ho trovato un trucco. Sulla parete del mio ufficio, vedi, ho appeso, la stampa del quadro L’Angelus di Millet, un regalo di mia moglie: quella giovane coppia di contadini in preghiera nel campo mi ricorda l’atteggiamento giusto per affrontare qualsiasi difficoltà». In che settore agisce l’azienda? Clem Fritschi: «La nostra azienda, che ho fondato con altri soci 32 anni fa, rappresenta nel settore metalmeccanico, in esclusiva per l’Italia, macchine utensili ed articoli complementari di alta qualità di ditte estere. In occasione del 30° anniversario della fondazione della ditta, mi era stato chiesto come mai io, svizzero, ero venuto in Italia a fondare questa ditta e se ero mandato da qualche ditta estera che rappresentiamo. Avevo risposto che ero in Italia ed avevo fondato la ditta solo per amore, perché se non mi fossi innamorato di una italiana incontrata a Londra, Margherita, che adesso è mia moglie, non sarei venuto in Italia». Un percorso professionale lineare? Clem Fritschi: «Non proprio. Anni dopo l’inizio dell’attività, ho perso ogni desiderio di operare in azienda per un tragico avvenimento che ha colpito la mia famiglia: la morte di mio figlio. Avrei voluto lasciare. Fu proprio allora che qualcuno ci invitò a un convegno dei Focolari. Il tema era Dio amore. Così con Margherita, malgrado l’indescrivibile dolore, lo incontrammo. E capii che anche sul lavoro potevo agire di conseguenza; cioè, in parole povere, amare». Quale fu la prima occasione per farlo? Clem Fritschi: «Fu quando un giovane che avevo incontrato nel movimento mi chiese se nella mia ditta c’era posto per lui. Anche se non aveva una preparazione specifica per svolgere il nostro lavoro, ho risposto subito di sì, perché mi avevano fatto scoprire una frase del Vangelo: “Dove due o più sono riuniti nel mio nome, io sarò in mezzo a loro”. Quindi, assieme a quel giovane, Ugo, avrei potuto cominciare a mettere in pratica quella frase. In quest’ottica diventava logico mettere al centro del mio lavoro l’uomo, ogni uomo, il socio, i dipendenti, i fornitori, i clienti, i concorrenti…». Quando avete aderito all’Economia di Comunione? Clem Fritschi: «Quando Chiara nel ’91 ha annunciato in Brasile la nascita del progetto, abbiamo aderito subito: ho spiegato la mia decisione al mio socio, che non fa parte del movimento, ed egli mi ha chiesto se poteva contribuire anche egli con una parte degli utili». Un’azienda è sottoposta alla fluttuazioni e alle incertezze del mercato… Michele Michelotti: «Anche noi, ovviamente. Anni fa abbiamo avuto un periodo di forte crisi, e per sperare di sopravvivere come azienda dovevamo assolutamente ridurre i costi, in particolare gli stipendi, che in una ditta commerciale costituiscono l’onere maggiore. Dai calcoli fatti, avremmo dovuto licenziare almeno tre persone; abbiamo invece pensato di proporre ai dipendenti di ridurre tutti assieme i nostri orari di due ore al giorno, e conseguentemente gli stipendi. Quasi tutti si sono dichiarati d’accordo, anche se poi in pratica gli orari sono rimasti quasi uguali. Dopo pochi mesi la situazione è migliorata ed abbiamo potuto ripristinare stipendi e orari normali, ed anche compensare la disponibilità dei dipendenti con un premio speciale». Si sperimenta anche alla Ridix la presenza di quel “socio nascosto” che nei momenti di blocco permette di superare le difficoltà? Michele Michelotti: «Sì. Ricordo un altro episodio: per effetto dell’acquisizione di un partner commerciale, abbiamo perso un mandato di vendita in Italia di un prodotto che contribuiva al 25 per cento del nostro fatturato. Occupandomi di controllo di gestione ho subito calcolato le conseguenze sui risultati aziendali… In quell’occasione Clem stesso mi ha ricordato un’altra frase del vangelo: “Cercate prima il Regno dei Cieli e tutto il resto vi sarà dato in sovrappiù”. Proprio in quella settimana abbiamo concluso la vendita di un macchinario che ha prodotto un fatturato di valore pari a quello di un anno del prodotto che avevamo perso. E poi da questa situazione difficile sono nate delle nuove idee che ci hanno permesso di trovare nuovi mandati, sviluppando le vendite in un altri settori». So che non rifiutate l’impegno sociale… Clem Fritschi: «Qualche anno fa, una assistente sociale ci aveva interpellato per l’assunzione di una ragazza con alle spalle seri problemi di disagio, che per un anno sarebbe stata pagata dal Comune. Dovevamo però garantirle il lavoro. Sembra che la proposta fosse stata fatta a molte ditte, ma senza trovare disponibilità in nessuna di esse. Subito pensavamo di aderire, ma poi ci siamo chiesti se era giusto agire così nei confronti dei nostri dipendenti, che poi dovevano in qualche modo collaborare con questa persona. Abbiamo deciso di chiedere il loro parere che è stato, con nostra sorpresa, positivo. Trascorso l’anno previsto, questa ragazza doveva lasciare la ditta: non ne ero soddisfatto, e quindi ho suggerito al mio socio di stipulare con lei un normale contratto di impiego. Lui era d’accordo. Quando le ho comunicato questa nostra intenzione, si è messa a piangere dicendo che era il più bel giorno della sua vita. Lei tuttora lavora con noi, è brava, ha due figli e vive con il loro papà».

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