Ridi pagliaccio
“Pagliacci”, di Ruggero Leoncavallo. Roma, Teatro dell’Opera. Dicono che è un’opera che porta male. Sarà. Ma, nonostante sia di moda criticare Leoncavallo e dintorni, cioè la scuola “verista”, accusandola di gigionismo tenorile, gusto grandguignolesco, quando si risente Pagliacci in un’edizione eccellente come quella romana, ritorna il dubbio se non si tratti invece di un capolavoro. E non abbia ragione il pubblico, più della critica, che applaude questo “dramma lirico in due atti” in tutto il mondo dalla “prima” a Milano, nel 1892. Intersecando di continuo teatro e vita, come un Pirandello ante litteram, lo “squarcio” – cioè il fattaccio di cronaca nera realmente accaduto (la donna uccisa da un teatrante davanti al pubblico) – mescola genialmente finzione e realtà. Leoncavallo unifica la propria cultura musicale e letteraria con una vena espansiva che prende di petto lo spettatore: il teatro si fa musica viva, e la tragedia paesana di Nedda- Colombina uccisa dalla gelosia di Canio-Pagliaccio e dalla invidia di Tonio-Taddeo commuove ancora, perché ognuno è sazio, a volte, del “pagliaccio” che è costretto a recitare e vuole liberarsene, a costo della vita. Leoncavallo è maestro nell’orchestra sanguigna, vellutata, nel canto spiegato che fa la gioia dei tenori (“Vesti la giubba”), nel declamato drammatico entro il tessuto sinfonico. L’ha ben compreso Pier Giorgio Morandi, dirigendo con fervore un’orchestra appassionata, dagli splendidi colori (i violini) ed accompagnando un cast eccellente. Il prologo di Leo Nucci è lezione di stile e di canto esemplare; la Nedda di Svetlana Vassileva incanta nel duetto con Silvio- Dario Solari, un baritono dalla voce vellutata. Sicuro e squillante il Canio di José Cura, star di voce bella ma approssimativo nella dizione e nel rapporto con la buca (studierà ancora?). L’allestimento di Liliana Cavani – la Roma periferica anni Cinquanta – con le scene evocative di Dante Ferretti, ha reso giustizia, attualizzandola, ad una partitura che è canto sull’emarginazione, sul dolore degli “sbandati” e di chiunque cerchi un affetto sincero. Mirabile il coro. Uno spettacolo di rara efficacia dove ancora c’era la gioia di suonare, cantare ed ascoltare.