Ridere per la pace

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Per me voi non siete pubblico, ma potenziali ostaggi. Così Hanania inizia lo spettacolo, quando si esibiscono di fronte ad una platea ebrea. Il loro è un gruppo decisamente sorprendente. Sono quattro attori. Ray Hanania è un palestinese- americano, giornalista ed esperto di politica del Medio Oriente. Con lui, tre ebrei: Charlie Warady, Yisrael Campbell e Aaron Freeman, quest’ultimo africano convertito all’ebraismo. Insieme intrattengono, con gag e battute, pubblici sia ebrei che palestinesi. L’idea è semplice, ma efficace alla prova dei fatti: Siamo un gruppo di commedianti. Di certo non risolveremo molto. Non saremo noi a portare la pace, dice Charlie che nel 1966 lasciò gli Usa per andare a vivere in Israele (per salire in Israele, come si dice in ebraico). Vogliamo però mettere in evidenza che combatterci è stupido. Per fare questo la risata è un mezzo che funziona bene. Introdurre, sul palcoscenico come nella vita, una componente umoristica, paradossale, contribuisce a smontare visioni estremistiche e preconcette. Quando s’affrontano discorsi politicamente caldi con discussioni serie – dice Hanania – è quasi inevitabile lasciarsi trasportare da sentimenti viscerali, emotivi. Ma quando la buttiamo sul ridere, io che metto in ridicolo il muro, Charlie che si fa beffe dei checkpoint, allora si può parlare anche di argomenti tabù, sentendoci uniti almeno per qualche momento. Yisrael, cattolico di Philadelphia, tempo fa si convertì all’ebraismo e andò a vivere a Gerusalemme. Ora appartiene al gruppo ortodosso, con tanto di cappello nero, cappotto nero e cernecchi. La prima volta che ho attraversato un posto di blocco – racconta -, quando il poliziotto mi ha chiesto i documenti ha strabuzzato gli occhi vedendo che mi chiamavo Cristian Campbell. Sì il mio nome era Cristiano, non proprio un nome da ebreo.Vedendomi con quel nome e con i boccoli che scendevano dalle tempie, senza neppur ordinarmi di aprire il bagaglio mi ha chiesto a bruciapelo: Dov’è la bomba?. Da quel giorno ho deciso di cambiare nome. Ora mi chiamo Yisrael e nessuno ha più nulla da ridire. Poi continua. Ora ho deciso di studiare da rabbino. Quando l’ho detto a mia madre, buona cattolica d’origine irlandese, ha bofonchiato: Le trovi proprio tutte pur di non fare un lavoro normale!. Comunque non è facile pensare di poter sorridere sui problemi d’una regione che rischia ogni giorno un’escalation di violenza. Attacchi israeliani via terra e via aria nella striscia di Gaza continuano a fare vittime palestinesi; i palestinesi continuano a lanciare razzi su cittadine israeliane e mietono nuovamente vittime con attacchi kamikaze. Israele blocca rifornimenti essenziali a Gaza; la tensione al confine egiziano è alle stelle. Non nascondono, i quattro comici, che alcune organizzazione arabe americane, dopo aver visto il loro show, hanno cancellato spettacoli già prenotati. Non hanno gradito. Ma è impossibile accontentare tutti, si sa. Nessuno direbbe apertamente che è perché ho condiviso il palcoscenico con un israeliano – commenta Hanania -, non vedono nulla di male a lavora- re in teatro con un ebreo. Ma le ramificazioni politiche che s’innescano quando si tocca la questione israeliano-palestinese sono difficili da digerire per molte persone. Anche con pubblico ebreo – afferma Warady -, quando faccio la battuta che dopo una serie di terremoti ho pensato che se non troviamo un modo per dividere Gerusalemme, qualcun altro lo troverà, ho visto molte facce che sorridevano forzatamente e appena accennavano a un educato battimano. C’è poi anche chi fa le pulci sulla composizione del gruppo. Dovreste essere in numero pari sul palco: due ebrei e due palestinesi, – commenta una spettatrice americana – e per una distribuzione più politically correct, dovrebbe esserci anche una donna. Le risponde Hanania, con una smorfia di sorriso: Non siamo ancora in un mondo ideale. Ma cerchiamo di arrangiarci con quello che abbiamo. Ad esempio, quando siamo di scena a Ramallah, io mi presento come Ray Hanania e i tre ostaggi. Va meglio così?. Eppure – insistono i quattro comici -, nonostante le critiche abbiamo ricevuto amplissimi consensi. Abbiamo sperimentato che anche durante periodi di stress molto intenso la gente è affamata della possibilità d’una sana risata. Il quartetto ha ricevuto un caloroso benvenuto e molti applausi negli spettacoli tenuti fra Haifa e Beersheba. Sia che il pubblico fosse prevalentemente israeliano o palestinese – dice Aaron – abbiamo constatato che il desiderio di ridere era universale. Adesso sono in tournée negli Usa per i prossimi due mesi, con spettacoli nei college, in varie comunità e festival. Per dare, con le loro battute, un contributo alla pace. Per la cultura araba, ridere su argomenti seri, su certe abitudini dei propri popoli o su certi aspetti della religione, non è comune. È una forte novità. Il tentativo di Hanania s’innesta in un fenomeno alquanto recente, ma che sembra già ottenere diversi apprezzamenti. In Inghilterra c’è, ad esempio, Azhar Usman, in arte Bin Laughing (Bin ridente). Nei suoi spettacoli scherza: Nella metropolitana di Londra, quando mi vedono vestito così, con la gellaba, e la mia barba nera, non ho mai problema a trovare posto a sedere. E anche: Qualche settimana dopo l’undici settembre avevo perso mio nipote Osama, di nove anni, in un supermercato. Non ho osato chiamarlo all’altoparlante!. Dall’altro lato invece, la risata accompagna da tempo antichissimo la cultura ebraica. Gli ebrei amano ridere di tutto, specialmente di sé stessi (sebbene non sempre apprezzino che altri ridano di loro, ma questo è un altro affare). È emblematica la riscrittura dell’ebreo Woody Allen della vicenda d’Abramo che sta per uccidere il figlio Isacco su comando di Dio. Ma che cosa mai stai facendo?, sbotta Dio, fermando un attonito Abramo. Ma tu dicesti… proferisce timidamente il patriarca. Lascia stare quello che dissi – lo interrompe il Signore -: ascolti qualunque idea balzana che ti propinano? . È che – risponde confuso Abramo – io credevo che dicessi sul serio… insomma… non riesco mai a capire quando scherzi o quando parli sul serio. Nessun senso dell’umorismo – scuote il capo, sconsolato, l’Eterno -, non ci posso credere!. Certo, hanno ragione loro. A spianare la strada verso la pace non bastano le sole risate. Ma qualche arbusto lo possono ben buttar giù.

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