Ridere (e sorridere) non è uno scherzo

“In casa nostra, la persona che pensa di più sono io. Ottavia apprezza molto questa mia straordinaria attività di uomo di pensiero, specialmente quando, al suo compleanno o al suo onomastico, torno a casa reggendo sottobraccio un bel “pensiero” per lei. La mia posizione di unico pensatore ufficiale della famiglia emerge al verificarsi di eventi eccezionali, come quando comincia a perdere il rubinetto della cucina o saltano le valvole della luce: nei casi insomma, in cui mia moglie mi dice solennemente: Ernesto, pensaci tu!”. Così ridevano i nostri lettori diversi anni fa con le battute di Ernesto Carletti, arguto umorista delle pagine di Città nuova. Forse le situazioni cambiano, ed anche il tipo di umorismo. Ma il bisogno di ridere resta. Non succede anche a voi ad esempio che il vostro capo per l’ennesima volta non vi dia retta? A nessuna delle vostre proposte è stata prestata attenzione? Siete usciti da una riunione di lavoro con un un’unica sensazione: la disfatta? Non angosciatevi, non stressatevi, non arrabbiatevi. Rideteci sopra, appena ci riuscite. Costruitevi ad esempio una piccola “lapide delle idee” – mi si passi il termine -: un oggettino cioè che contenga idealmente i vostri suggerimenti che, almeno per il momento, dovete seppellire. Fatela vedere ad un collega che ha vissuto la stessa situazione. Se il vostro humour non è stato sepolto insieme alle vostre idee ci sono buone probabilità che una bella risata sdrammatizzi la realtà che state vivendo. Vostra moglie torna carica di spesa al punto da non sapere più dove sistemarla? Anziché sbraitare, provate a scommettere con quante buste fra le mani oggi aprirà la porta di casa. Qualcuno fra i vostri amici brontola sempre? Non sbruffate. Strizzate l’occhio a qualcun altro del gruppo e contate i secondi che passano perché arrivi l’atteso “uffa”. C’è un collega in ufficio che ha sempre il muso e non riuscite più a sopportarlo? Regalategli un libro di barzellette intelligenti o invitatelo a guardare un bel film umoristico o quantomeno rilassante. Dallo stress quotidiano liberiamoci, gente. Come? Con una risata, se possibile. Ridere, infatti, sembra proprio che faccia bene. Anche se le teorie al riguardo si rincorrono. In attesa comunque che gli addetti ai lavori si mettano d’accordo, tanti di noi potrebbero intanto fornire dati certi alla sperimentazione. Dopo una bella, sonora risata (almeno una volta nella vita ci sarà capitato), ci sentiremo sicuramente meglio. Una ricerca condotta in Italia ha tra l’altro evidenziato che il 90 per cento delle persone intervistate pensa che l’umorismo sia utile nelle situazioni di crisi o stressanti, il 25 per cento che esso sia importante per migliorare le relazioni sociali, il 22 per cento che sia efficace nel risolvere situazioni difficili sul lavoro o a scuola. Ridere dunque. Anche se – scusate la contraddizione – non è uno scherzo. Perché nella vita di tutti i giorni, lo sappiamo, succede per lo più tutt’altro. Tensioni al lavoro, in famiglia, con gli amici, insoddisfazioni, paure, non sono certo situazioni o stati d’animo che conducono alla risata. Eppure ridere è importante. Non solo per sé ma anche per gli altri. Già perché con certe persone siamo, volenti o nolenti, “costretti” a passarci la giornata ed anche la vita. Più o meno. E non mi riferisco solo al lui o al lei a cui abbiamo un giorno giurato fedeltà, ma anche, ad esempio, a tutti quelli che hanno sottoscritto un contratto di lavoro con la stessa azienda con cui l’abbiamo firmato noi. O a quei compagni di classe coi quali dobbiamo condividere almeno cinque o sei mattine della settimana. Tanto vale dunque trovare il modo di non rovinarci mente e fegato. Si, però c’è chi il senso dell’humour ce l’ha innato e chi invece proprio non ce l’ha, potrebbe obiettare qualcuno. Sono d’accordo, ma ciò non vuol dire che ci sia una parte dell’umanità destinata ad essere felice e un’altra a non esserlo. Intanto tutti possiamo fare lo sforzo di trovare il lato comico della vita. E poi lasciarci coinvolgere da chi ci riesce. Se infine siamo fra quelli che hanno questo talento, usiamolo senza risparmio. Perché una delle caratteristiche della risata è quella di essere contagiosa. Dunque basterebbe avere occhio clinico a intravedere tensioni in arrivo per immettere nell’ambiente l’antidoto della risata o quantomeno del sorriso. Oggi io, domani tu, dopodomani quell’altro. E forse il periodo che stiamo vivendo può essere favorevole. Dicono che sarà un Natale più sobrio perché in tasca c’è rimasto poco da spendere. E questo causerebbe stress a coloro per i quali la festa coincide coi regali. Non potremmo, per una volta, fare meno doni ma… donarci di più? “Un sorriso non costa nulla e produce molto – recita una poesia anonima -. Nessuno è così ricco da poterne fare a meno e nessuno è così povero da non meritarlo”. Proviamo a sfruttare tutte le occasioni di ritrovo in famiglia e con gli amici per ritrovare il gusto a volte smarrito della convivialità. Ed inoltre guardiamoci intorno. Dalla conta dei sorrisi distribuiti alle persone incontrate anche per strada (con un saluto, un’attenzione, un gesto concreto) potremmo scoprire di essere i più grandi azionisti della Sorridere & Farridere Bank. RIDERE LUNGO I SECOLI Che il sorriso sia un’arte, oltre che un piacere, lo dice la lunga storia della cultura. Dal riso di Sara nella Bibbia davanti ai tre angeli, alle raffigurazioni egizie e poi a quelle etrusche e a quelle greche – il “sorriso olimpico” delle divinità – dalle “risate omeriche”, cioè possenti, dei poemi omonimi fin al ridere surrreale delle commedie di Aristofane o, nel mondo latino, di Plauto. Nel Medioevo cristiano il riso viene quasi istituzionalizzato nel “risus paschalis” della liturgia, che poi comporta l’espressione nelle “sacre rappresentazioni” sul sagrato delle chiese, a cui si affianca ben presto il teatro di argomento profano. Nel campo figurativo, il Medioevo alterna immagini di Christus patiens ai sorrisi luminosi di tutta l’arte gotica, nelle sculture e nelle vetrate, segno paradisiaco, di cui è vasta eco nel Paradiso dantesco, dove il sorriso dei beati è segno di un aumento di gioia divina. Più vario, invece, l’umorismo nei romanzi medievali o nella novellistica dove al sorriso cavalleresco si alterna quello sboccato del popolino: se ne troverà eco nel Morgante, caricatura del poema cavalleresco, di Pulci nel Quattrocento e nel Gargantua e Pantagruel di Rabelais. Il barocco è epoca teatrale: dai lavori scespiriani ai poemi eroicomici italiani all’ironia di Cervantes o di Molière l’umorismo si fa arte sottile, con risvolti sociali. Più sorridente, e innocuo, invece il sorriso di Goldoni, indulgente sui difetti dell’umanità, in linea con l’opera lirica di tradizione buffa, che alterna la comicità greve al sereno sorriso di capolavori di Cimarosa o di Mozart, per poi esplodere con un riso universale nei lavori di Rossini. Mentre il serioso Beethoven sa sorridere anche lui nella Ottava Sinfonia, così come in pittura Goya alterna dramma a pittoresco a ilarità popolaresca. Ride poco l’Ottocento romantico, ma a fine secolo la spensieratezza della Belle Époque trova sofisticate ilarità nei teatri parigini, mentre gli Arlecchini di Picasso, da maschera dell’arte, diventano sul primo Novecento segni inquieti. Ma la voglia del sorriso perdura: restando da noi, la comicità surreale di Totò o quella più sofisticata di Peppino De Filippo continuano a mietere allori, mentre oggi la tv non sa più cosa inventarsi per far ridere o almeno sorridere… M.D.B.

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