Ricordando un amico: Elio Toaff
Roma, sinagoga, 1 aprile 1998. Venerdì prossimo partirò per l’Argentina. Molti gli appuntamenti previsti, ma uno, sopra tutti, è emblematico: l’invito per un incontro con una qualificata rappresentanza della comunità ebraica di Buenos Aires. […] Ed oggi – quasi un preludio – sono qui, nella sinagoga di Roma, la prima, dai tempi di Pietro, che il 13 aprile 1986 ha visto un papa incontrarsi con i «fratelli maggiori» ebrei e pregare insieme con loro. Più esattamente mi trovo nello studio del rabbino capo, prof. Elio Toaff. Un luogo austero e ricco di memorie.
[…] È vero che in Italia – come ha occasione di dire Toaff – «vi fu antisemitismo di Stato e non di popolo», ma il cammino da fare per guarire le ferite del passato e favorire la reciproca amicizia è in ogni caso ancora lungo. Sì, reciproca «amicizia»: è proprio questa la parola che sia il rabbino Toaff sia la signora Zevi sottolineano. Gli amici, in certo modo, sono qualcosa di più dei fratelli, perché sono liberamente «scelti».
Il rabbino Toaff ci tiene a ricordare un episodio della sua giovinezza, che resta indelebile nel suo cuore. A Livorno, durante un rastrellamento nazista, si trovò a fuggire senza meta col papà (anch’egli rabbino) e la mamma. Li vide un prete, e avendoli riconosciuti per ebrei li aiutò a nascondersi, in una chiesa abbandonata, e poi, la mattina seguente, a raggiungere le zone già liberate, al di là degli Appennini. […]
L’incontro, molto cordiale, si conclude con la recita, prima in ebraico e poi in italiano, del Salmo 113: «Quanto è buono e soave che i fratelli vivano insieme».
(Brani da Le luci della menorah. Con Chiara Lubich in Argentina e Brasile, Città Nuova, 1998)