Ricordando Rigopiano
Sono già passati due anni, ma per gli abitanti del Centro Italia, e per tutto il Paese, il 18 gennaio 2017 non può essere dimenticato. Quella data segnò il ritorno alla paura nelle zone terremotate, in particolare nei Comuni del Lazio e dell’Abruzzo. Quest’ultima Regione – già provata da un’ondata eccezionale di gelo, che aveva provocato l’isolamento di numerose abitazioni –, il 18 gennaio si trovò a fronteggiare, a distanza di poche ore, numerose scosse di terremoto, alcune delle quali di magnitudo superiore al 5° grado della scala Richter, e la tragica vicenda dell’hotel Rigopiano, situato alle pendici del Gran Sasso, sul versante pescarese. Una slavina colpì infatti il resort, seppellendo gli ospiti e il personale della struttura. Imponente il numero degli interventi effettuati dalla protezione civile nelle zone colpite: dal recupero e soccorso delle persone che si trovavano in frazioni isolate al ripristino della viabilità, delle infrastrutture e dei servizi essenziali compromessi dalle forti nevicate. Le operazioni di ricerca e soccorso si susseguirono per otto giorni e otto notti. Il bilancio totale fu di 34 vittime, di cui 29 a Rigopiano, mentre furono 11 le persone salvate. Gli indagati per la tragedia avvenuta a Farindola sono scesi, nel corso dell’inchiesta, da 40 a 25.
Due anni dopo, dalla Valle dell’Aterno, epicentro del sisma del 18 gennaio, arrivano diverse iniziative post terremoto. Tra esse la presentazione a fine novembre, al Villaggio dei Borghi di Fuori Porta (a Roma) del “pane della ricostruzione” di un’osteria di Scurcola Marsicana (L’Aquila). Sempre nello stesso periodo si è svolta la “marcia per la pace” promossa da una trentina di donne della Valle dell’Aterno che hanno percorso silenziosamente 50 chilometri a piedi, dal comune di Campotosto alla prefettura nel centro storico aquilano, per denunciare il blocco del 70 per cento della ricostruzione nei territori colpiti dai terremoti dell’Aquila (2009) e del centro Italia (2016 e 2017). Un problema, questo, che frena e di molto, la sopravvivenza degli stessi territori. Da Amatrice arriva anche la storia di Alessia Nibi. La sua azienda agricola, oltre all’inagibilità delle stalle a causa del terremoto del 2016, aveva dovuto affrontare anche la chiusura del caseificio, del frigo per le mele, dei capannoni e di due stalle su tre dopo le scosse del 2017. Successivamente, però, grazie all’aiuto di privati cittadini e di associazioni, aveva potuto ricostruire un punto vendita e il caseificio. Non una soluzione definitiva, ma un piccolo passo avanti, come tanti altri fatti in precedenza, perché come racconta la stessa Alessia: «Siamo diventanti una piccola comunità ospitando nella nostra casa ancora agibile anche altre persone».