Ricordando l’eccidio di Fucecchio
Ci sono spettacoli che, proprio per gli impegnativi argomenti trattati e il valore intrinseco del racconto, specie se storico, andrebbero visti con un pubblico particolarmente di ragazzi e, perché no, anche di bambini, se preparati adeguatamente alla visione. Perché cambia la qualità dell’ascolto, la percezione in sala, il diverso “sentire”. È l’esperienza durante una matinée alla quale ho partecipato a Fucecchio, al Nuovo Teatro Pacini, per lo spettacolo L’eccidio. Oratorio a tre voci di Riccardo Cardellicchio, per la regia di Enrico Falaschi e l’adattamento teatrale di Andrea Mancini, una nuova produzione del Teatrino dei Fondi, realtà teatrale attiva da anni nel territorio toscano, e non solo, con spettacoli legati, particolarmente, al teatro civile, e alla drammaturgia contemporanea. Mi ha impressionato l’ascolto silenzioso e attento dei ragazzi, e, al termine dello spettacolo, durante l’incontro con la compagnia per l’approfondimento che ne è seguito, le domande pertinenti rivolte dai giovani studenti, segno evidente di una preparazione svolta precedentemente che rientra in un percorso di “Educazione alla visione” che da tempo vede impegnati in quel territorio un team di operatori.
Il tema dello spettacolo riguarda una delle pagine tragiche, e poco conosciute, della nostra storia: l’uccisione sistematica perpetrata dai nazisti nelle campagne toscane del Fucecchio, di Monsummano Terme, Larciano, Ponte Buggianese, Cerreto Guidi. Sul punto di ritirarsi l’esercito nazista, il 23 agosto del 1944, tra le prime luci dell’alba e metà mattinata, uccise con artiglieria pesante 174 persone, famiglie, donne, anziani e bambini. Gente civile, innocente, contadini che lavoravano o vivevano nel Padule o che vi avevano cercato rifugio dai rastrellamenti tedeschi, riparandosi in quella valle apparentemente sicura per la sua posizione lontana dalle vie principali e dai centri abitati. Il crimine fu compiuto dai nazisti anche per l’aiuto di collaborazionisti italiani, fascisti del territorio.
Rimasta a lungo affidata alla memoria di pochi, ai singoli racconti tramandati oralmente, e disseminata d’imprecisioni, ma anche taciuta per la vergogna e i sensi di colpa di chi è scampato senza aver potuto fare nulla per i propri vicini e i propri cari assistendo inermi alle uccisioni, si deve al giornalista Riccardo Cardellicchio se la barbara carneficina è venuta alla luce nella verità dei fatti e nella ferocia della sua pianificazione. Non si è trattato, infatti, di esecuzioni isolate, ma studiate secondo la delineazione di un perimetro territoriale dentro il quale accidentalmente chi vi si trovava veniva ucciso.
Questa ricostruzione è basata sulla raccolta di testimonianze dirette del giornalista toscano, autore di un’inchiesta condotta nel 1972 e ’73 insieme al fotografo Marco Matteoli, diventata poi un libro, L’estate del ’44 edito, nel 1974, da Libreria Fiorentina, una pietra miliare della ricerca storica, che traccia in modo abbastanza fedele la realtà (solo nel 1994, essendo trascorsi 50 anni, sono stati desecretati gli archivi tedeschi e si è potuto accedere alla documentazione, rimasta a lungo inconsultabile, relativa all’eccidio).
Nel riportare la storia sul palcoscenico, Falaschi affida a tre attori – il narratore, la donna, il poeta – il racconto dei sopravvissuti, i cui corpi e le cui voci, alternando narrazione frontale e dialoghi, azioni minime e gesti simbolici, risaltano dentro una scenografia astratta di cubi bianchi. Questi, continuamente spostati, creano altezze e dislivelli – un rimando alle zone impervie, ai canali, e ai corsi d’acqua del territorio –, mentre i bellissimi grandi disegni in diretta di Alessio Trillini illustrano sul bianco supporto dello schermo e degli oggetti scenici, o nel nero della notte della storia, luoghi, ambienti e personaggi, non solo immaginari, che conferiscono un poetico dinamismo all’allestimento.
Dentro quello spazio candido, evocativo d’innocenza – un non-luogo che diventa universale e perciò evocativo di altri luoghi di stragi e di violenze –, l’unico colore che lo macchierà sarà il rosso dei fiori dapprima deposti su alcuni cubi diventati tombe, poi strappati rabbiosamente a terra. Un gesto che rimanda alla fragilità e alla bellezza della vita, quella recisa dalla bestialità umana. Scrive il regista: «Oggi, tre quarti di secolo dopo l’Eccidio, crediamo sia ancora più importante rinnovare l’impegno nel conservare e diffondere la memoria di quei tragici fatti del passato. Memoria che certamente può essere, per giovani e meno giovani, un prezioso strumento nel tentativo di interpretare e soppesare quello che sta accadendo nel nostro presente».
“L’eccidio”, di Riccardo Cardellicchio, adattamento teatrale di Andrea Mancini, regia Enrico Falaschi, con Alberto Ierardi, Marta Paganelli e Giorgio Vierda, disegno dal vivo Alessio Trillini, scenografie Angelo Italiano, Marco Sacchetti, luci Nicolas Baggi, costumi Chiara Fontanella. Una produzione Teatrino dei Fondi. A Fucecchio (Fi), Nuovo Teatro Pacini, per la stagione “Sipario Blu. Tradizione e Innovazione”.