Ricordando l’Autunno delle nazioni

La caduta del regime comunista nei Paesi del blocco sovietico avvenne con tempi e modalità differenti. In Romania ci fu l'unica rivolta finita nel sangue. Il 3 dicembre 1989, a Malta, un summit delle due superpotenze mondiali, USA e URSS, segnò la fine della guerra fredda.

Ero per studi a Praga, prima della caduta del muro di Berlino. Una collega italiana, in occasione della visita del suo ragazzo, aveva preparato una cena e mi aveva invitato. C’era un altro italiano, Domenico, convinto comunista.

Dopo la festa, per strada, Domenico mi chiese cos’era stata per me la serata. Ho detto tutta la mia gratitudine per la collega che era riuscita a creare un bell’incontro e anche una buona cena. E lui: «La gratitudine non costruisce il futuro. Stasera io ho provato odio. Ci vuole odio verso chi ha qualcosa che tu non hai, per avere quell’energia che ti fa trasformare la realtà. Altrimenti non sposterai la storia neanche di un millimetro». Mentre Domenico seguitava il suo comizio e bestemmiava contro chi poteva permettersi qualcosa che lui non aveva, mi rendevo conto di quanto fossimo lontani.

Non sono propenso a fare polemiche politiche, perché non mi sento preparato e perché da cristiano ho scoperto altri sentieri che conducono alla verità. Ascoltai Domenico con più “cuore” e vidi che ne fu grato. Così finì il suo monologo.

Quando poi attraversai da solo il Ponte Carlo, quelle statue annerite dal tempo mi sono apparse muti spettatori della triste farsa della storia, un “valzer degli addii”, rubando il titolo a un romanzo di Kundera. Quei testimoni del divenire sembrarono spronarmi a immedesimarmi in Domenico per capire cosa ci fosse dietro le sue convinzioni e fargli sentire la mia amicizia, prima di ogni altra convinzione. Quegli anni sono lontani. Per le ideologie non si alza più la voce.

Anche le figure possenti e muscolose dei monumenti del realismo che simboleggiano progresso, libertà, lavoro, sono state rimosse da quasi tutte le città del blocco sovietico. Nella periferia di Budapest hanno trovato pace in un parco che si può visitare come uno zoo di animali preistorici. Vi sono stato anch’io perché un collega curioso del Pantheon comunista mi aveva chiesto di accompagnarlo. Da storico mi aiutava a leggere la retorica che maschera ogni potere. Anche la Roma del fascismo ne è un esempio.

In questo autunno nei Paesi che un giorno aderirono al Patto di Varsavia, si ricorda il crollo del comunismo. Tre decenni, una generazione. Le celebrazioni hanno il carattere di un album fotografico presentato a chi di quei giorni non sa quasi più niente. Un passato volutamente rimosso oppure sostituito o oscurato da nuovi problemi economici e sociali che invadono quell’orizzonte che una volta era tracciato come il sole che sorge per illuminare e dare inizio a un mondo nuovo.

pragaVivevo in Ungheria dagli anni Ottanta, allora paese satellite della Russia Sovietica, e circolavano le scontate battute che miravano a distruggere l’immagine del Paese dominante. Grande silenzio dei media quando, nell’aprile 1986, avvenne in Ucraina il disastro di Černobyl’. Un amico fisico, che aveva strumenti adatti, mi suggerì di evitare ortaggi (in quella stagione già molto scarsi) e di non bere latte. Dell’inquinamento radioattivo si parlava sottovoce. Più che la salute dell’uomo era più importante la facciata dell’Unione Sovietica di cui l’Ucraina faceva parte. Più che la nube radioattiva, il tabù della superpotenza copriva quella parte del mondo chiamata in occidente Oltrecortina. Per la mia attività di traduttore ho collaborato con una regista la quale mi confidò che, anche se era difficile far carriera, non era voluta entrata nel Partito Comunista perché non aveva l’intenzione di far parte della minoranza.

Mi resi conto allora che per entrare in un paese straniero non basta un visto, ma è necessaria una chiave che ti permetta di addentrarti nel cuore delle contraddizioni, dei paradossi. In Ungheria, nel 1988 il “pacchetto democratico” aveva favorito le imprese private. Perfino nella lingua era stato coniato un aggettivo che indicava i prodotti di ditte non di stato, autonome.

Il governo riformista che aveva destituito Kádár, aveva aperto a fine agosto 1989 le frontiere a quei tedeschi dell’allora DDR che venivano a trascorrere le vacanze al lago Balaton, il “mare” dell’Ungheria, e alla fine di settembre furono più di 30.000 a scappare verso l’Ovest.

Quella stagione chiamata “Autunno delle Nazioni” registrò un’ondata rivoluzionaria in diversi Paesi del Patto di Varsavia. Nel giro di pochi mesi il regime comunista fu ribaltato. Una targa che si trova a Praga in modo sintetico, ma storico, riferisce la durata del percorso della caduta dell’Unione Sovietica: Polonia 10 anni; Ungheria 10 mesi; DDR (Germania est) 10 settimane; Cecoslovacchia 10 giorni e, aggiunta dopo, la Romania, 10 ore, l’unico Paese del blocco orientale che rovesciò il regime in modo violento. Lì, la novena di Natale 1989 resta indimenticabile.

Il pastore riformato László Tőkés venne arrestato da parte della Securitate, la polizia segreta, per le sue omelie contro il regime. Fu quello l’inizio della rivolta conclusasi con un sommario e plateale processo a Ceaușescu e alla moglie. Tutto il mondo, polarizzato come da un campionato di calcio, ne ha potuto seguire le raccapriccianti immagini. Il 3 dicembre 1989 a Malta, un summit delle due superpotenze mondiali, USA e URSS, segnò la fine della guerra fredda.

E oggi? Una scena parlerebbe da sola e potrebbe essere una risposta ad ogni violazione della dignità umana: era il 17 di novembre 1989. A Praga, una manifestazione pacifica di giovani venne repressa violentemente mentre loro continuarono a offrire fiori e… superiorità. Ora nella capitale boema quella strada che ha visto “risplendere” l’eroismo è segnata da un’infinità di lumini accesi spontaneamente e silenziosamente dai cittadini.

 

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