Ricordando il Mahatma
Gli ultimi anni, dopo l'11 settembre e le tensioni che ne sono seguite, hanno riproposto la figura di Gandhi, come mai prima simbolo di pace e non-violenza. Colpisce l'enorme sua popolarità in Europa.
Un fatto piccolo, che mi colpì non poco qualche anno fa al ritorno dall’India. Faceva impressione vedere, per diversi mesi, una gigantografia del Mahatma dominare Piazza di Spagna e gli scalini di Trinità dei Monti a Roma, località note in tutto il mondo, anche a chi non è mai stato in Italia. Senza dubbio, era una pubblicità di successo di TIM, ma l’impatto sull’opinione pubblica, insieme con un altro annuncio in onda su canali televisivi con la sua voce è stato davvero notevole. Nell’era della rivoluzione informatica, che sembra essere lontano da millenni l’epoca in cui visse Gandhi, l’immagine e la sua voce hanno portato a casa un messaggio chiaro: un leader carismatico non muore mai.
Ma chi è un leader carismatico?
Si tratta di qualcuno di unico, che porta un dono di Dio per l’umanità intera. Il suo messaggio va oltre la cultura e la religione, luogo di nascita e contesto storico. E’ un dono che la persona porta in un modo che nessuno ha mai fatto prima e, sicuramente, nessuno lo farà dopo di lui o lei nella stessa maniera. La persona diventa il simbolo e l’immagine del messaggio che Dio gli ha affidato.
Ebbene, Gandhi è stato proprio un carismatico, il portatore del dono della pace, o meglio di ahimsa, la non-violenza, che aveva lo scopo di cancellare quella parola dal dizionario di ogni lingua parlata dagli esseri umani. Guerra e violenza non hanno cessato dopo Gandhi, che ha dato la sua vita per pagare il tesoro donato all’umanità. Eppure, le cose non sono più la stesse dopo di lui: tutti coloro che credono nella non-violenza hanno ormai un modello a cui guardare.
La sua vita è stata, come lui stesso amava dire, un costante "esperimento con la verità”, che ha avuto un impatto impressionante su un mondo, che aveva iniziato il suo processo per diventare un villaggio globale.
Ha aperto l’umanità ad un’esperienza spirituale, che può essere definita come una via verso la santità, iniziata da una profonda conversione interiore, che ha cambiato la sua esistenza, conducendolo ad un rapporto con l’Assoluto ed ispirando altri uomini e donne a seguire lo stesso percorso. Eppure, Gandhi era abbastanza umile da confessare:
«Per me vestire la santità è troppo presto anche se è possibile. Non mi sento un santo […] ma un seguace della verità a dispetto di tutti i miei errori, soprattutto quelli di omissione.»
La sua apertura a Dio e all’uomo lo ha reso capace di accogliere tutti come un fratello vero e una sorella vera, aprendo la strada ad un’esperienza, che ha proposto un chiaro contributo al dialogo e alla comprensione tra religioni e culture.
«Non voglio che la mia casa abbia muri chiusi sui lati e finestre bloccate. Desidero che le culture di tutti i Paesi soffino nella mia casa il più liberamente possibile.» Gandhi era cosciente di avere una missione e la sua fede nella sua realizzazione fu incrollabile. «Ho una fede certa nella mia missione e, se si realizza – e so che così sarà – spero che la storia l’annoveri come un movimento per unire tutti i popoli del mondo, non più ostili gli uni agli altri, ma ciascuno parte di un tutto.» «Non sono un visionario. Io pretendo di essere un idealista pratico. La religione della non-violenza è […] per la gente comune.»