Ricordando Gandhi
Ogni anno la fine di gennaio offre la possibilità di riflettere su una delle figure che più hanno lasciato un segno nella storia dell’umanità, almeno a memoria d’uomo. Senza dubbio, infatti, il Mahatma Gandhi, morto il 30 gennaio 1948 sotto i colpi di pistola sparati a bruciapelo da un fanatico indù, rappresenta una delle figure più carismatiche apparse nell’ultimo secolo. È stato, infatti, portatore di un vero dono di Dio per l’umanità intera, ben al di là della sua cultura e religione, del suo humus di provenienza e del contesto storico in cui ha vissuto.
La sua vita, «i suoi esperimenti con la verità», come amava chiamare le sue esperienze, la sua prospettiva universale, l’influenza affascinante che ha esercitato su un mondo, già allora, fatto piccolo dai mass-media, anche se non ancora l’odierno villaggio globale, permettono di mettere in rilievo, in modo quasi incredibile, alcuni degli aspetti che potremmo definire caratteristici di un carisma.
Infatti, la sua vita ha condotto ad una esperienza spirituale, che non è esagerazione chiamare una via di santità, un cammino che porta a Dio. Tutto è nato da una progressiva conversione interiore che ha, prima, cambiato la sua vita e, successivamente, ispirato migliaia di uomini e donne ad una profonda rivoluzione (conversione) della loro esistenza. Ha saputo rileggere le sue Sacre Scritture, fornendone una interpretazione originale. Ma soprattutto, è stato il suo esempio nel cercare di viverle nella vita quotidiana che ha spinto uomini e donne a scoprirne il valore ed il senso nella società d’oggi. Non si deve dimenticare la sua concretezza. Ha dato origine a nuovi stili di vita e realizzazioni, rinnovando, fra l’altro, una struttura classica dell’Induismo come l’ashram, centro di spiritualità che ha trasformato in laboratorio creativo per il bene comune. Il suo spirito ha suggerito nuovi modi di risolvere problemi sociali e politici, su scala nazionale ed internazionale, partendo dalla famiglia e dal villaggio. Grazie a lui, è nato un movimento ecumenico ed interreligioso. Infatti lo hanno seguito persone di ogni fede e cultura.
Ha avuto la coscienza di avere una missione nel mondo e di sapere che si sarebbe realizzata. «Ho una fede implicita nella mia missione. Se un giorno avrà successo – ed avrà successo, non potrà non averlo – allora la storia riconoscerà questo movimento come un’opera disegnata per comporre in unità tutta la gente del mondo, come parti diverse di un uno[1]». Persino il dono della profezia non gli ha fatto difetto. Lo conferma il suo predire come sarebbe morto. «La pallottola di un assassino potrebbe mettere fine alla mia vita. Le darei il benvenuto. Ma ciò che importa è morire nell’atto di compiere il proprio dovere fino all’ultimo respiro[2]. Non ho paura di morire nella mia missione se questo è parte del mio destino».[3]
E sempre nel contesto della profezia, o previsione illuminata, è notevole che uno come lui, né politologo né economista, abbia previsto le conseguenze di una economia fondata su leggi capitaliste che non tengono conto dell’uomo. Al tempo stesso è stato capace di indicare la visione di un mondo nuovo che, sia pure apparentemente chimerico, si è realizzato in varie parti dell’India e di altri Paesi, grazie a persone che hanno creduto alla sua parola. Il fatto che l’India abbia ottenuto l’indipendenza dalla Corona Inglese, grazie soprattutto ad una prassi di non-violenza (l’ahimsa), con le varie metodologie ad essa collegate, come la non-collaborazione o l’uso di prodotti locali a scapito dei manufatti occidentali, lavorati su materie prime prese proprio dal sub-continente, parla in modo eloquente ed inequivocabile della potenza del carisma di Gandhi. Tuttavia, ed è bene sottolinearlo, non lo esaurisce e conclude: ne è una semplice dimostrazione.
Oggi Gandhi sembra dimenticato nel suo Paese e nel mondo, con il sopravvento di diversi integralismi (anche indù) e con la globalizzazione che sembra irridere i suoi ideali del sarvodhaya (benessere per tutti). Ma questo non è prova di un fallimento. Sono fatti, che sembrano piuttosto riecheggiare la profezia di un altro grande del suo tempo, Albert Einstein, che, commentandone la morte, disse: «Le generazioni a venire, forse, non potranno credere che uno come lui possa davvero aver camminato, un giorno, sulle strade di questo mondo».
Comunque il Mahatma resta un enigma, come sottolineano storici e commentatori e come lui stesso ebbe a dire, probabilmente cosciente della complessità della sua vita: «Una volta che questi occhi saranno chiusi per sempre ed il mio corpo sarà consegnato alla fiamme, ci sarà tutto il tempo per pronunciare un verdetto sulla mia opera».[4] A conferma di quanto variegata sia la sua figura, con la contraddizione che spesso caratterizza i grandi, a enigma si accompagna la parola luce, che torna costantemente fin dal momento del suo martirio. Celebre l’annuncio del Primo Ministro J.Nehru alla nazione indiana, la sera del 30 gennaio 1948: «Una luce si è spenta sulle nostre vite». Gli fece eco il giorno successivo il New York Time che sentenziò: «Sta ora alla mano inesorabile della storia scrivere il resto».
[1]Harijans, 26-1-1934, pag. 8
[2]Piyarelal, Mahatama Gandhi: the last phase, Navajivan Publishing House, Ahmedabad; Vol.I, Feb. 1956, Vol.II, Feb. 1958
[3]Harijans, 27-4-1947, pag.127
[4]Young India, 4-4-192, pag.107