Ricominciare? Si può
Diciamoci la verità, Micaela Ramazzotti sembrava specializzata in figure davvero stravaganti, borgatare romane o comunque poco equilibrate. Tanto da parere ripetitiva. Ma qui, in Naufragi, diventa Maria, madre di due bambini bellissimi e innocenti, sposata con Antonio: i due sono molto innamorati, anche se lei è allertata dai servizi sociali.
La vita non le risparmia nulla: la morte del marito e della bambina, il ragazzino preso dai servizi sociali, il lavoro come donna delle pulizie in un motel. La donna estroversa e fantasiosa si trasforma in una persona solitaria, triste, lontana dal figlio. Con lei lavora una donna immigrata: fra le due silenzio completo, nemmeno mangiano insieme, eppure dormono nella stessa stanza.
Maria lentamente comprende che la sua compagna viene sfruttata anche sessualmente da un camionista e timidamente cerca un rapporto con lei: stupenda la scena in cui si avvicina senza far parola al tavolo per mangiare insieme con la donna sola. È un attimo, ma per Maria significa che nel naufragio dei sentimenti, della solitudine, dell’abbandono rivolgersi a qualcuno può essere un primo passo per risalire dal buio. Per lei e per la compagna sfruttata.
Non mancano momenti forti, drammatici in un film dove tuttavia le parole sono pesate – una rarità, di questi tempi, al cinema -, hanno valore e più ancora lo hanno i lunghi silenzi, i rumori e i cieli bellissimi e tristi che la fotografia poeticamente ci mostra insieme ad interni scabri, essenziali.
La recitazione della Ramazzotti si fa scavata, autentica, mai sopra le righe, in una autolimitazione di effetti che fa risaltare la fragile umanità del personaggio, attraversato da un dolore struggente e silenzioso. Sarà esso, come sobriamente racconta il regista, a darle il coraggio di ricominciare a sorridere di un sorriso provato, stanco, ma fiducioso e finalmente vero.