Ricominciare dopo gli attentati

Il nuovo presidente ha avviato alcune riforme dei servizi pubblici, con tagli anche alla classe politica. Cristiani e musulmani danno prova di reciproca accoglienza
Nigeria

La Nigeria sta attraversando un periodo molto critico di cui gli attentati recenti, contro i cristiani nel Nord e lo sciopero generale osservato soprattutto nel Sud Ovest, sono segnali forti.

Gli attentati sono opera di una setta islamista nota nel Paese come Boko Aram, il cui nome significa “maledetto quanto viene dall’Occidente” e che fa parte a modo suo della nebulosa di al Qaida. Si capisce che certi capi politici nella parte Nord – a larga maggioranza musulmana – non siano propensi a reagire giacché vorrebbero tenere loro la presidenza del paese, mentre è stato Jonathan Goodluck, del Sud, a vincere le recenti elezioni.

 

Gli scontri tra gruppi religiosi trovano però una popolazione locale capace di solidarietà, e si sa, che nel Nord, parecchi musulmani hanno protetto, qua e là, qualche celebrazione cristiana; così come gruppi di cristiani hanno impedito atti di vendetta di correligionari contro una moschea. Sono soprattutto cattolici i cristiani del Nord, di etnia Igbo sono intraprendenti commercianti che dal Sud est del Paese si spostano un po’ dappertutto, pur di guadagnare.

 

Lo sciopero generale che, intanto, ha completamente bloccato la megalopoli di Lagos, banche comprese, è stato soprattutto opera degli Yoruba, un importante componente etnica del Sud ovest e dell’intera zona costiera fino a Port Harcourt,  dove attorno alle considerevoli risorse petroliere sono in molti ad accampare diritti e a darsi da fare per potersele accaparrare. 

Scintilla dello sciopero è stato l’improvviso e spropositato aumento del prezzo della benzina deciso dal governo in vista di nuovi investimenti per progetti di utilità pubblica (educazione, trasporti pubblici, servizi per la salute). Queste manifestazioni e le conseguenti esplosioni di rabbia non sarebbero accadute se la crescita del prezzo si fosse verificata in modo graduale, ma questo picco ha fatto esplodere il malessere della gente, stufa di pagare le conseguenze disastrose della decennale inefficienza delle infrastrutture e dei servizi pubblici. Nessuno crede più alle promesse di nessun politico.

 

Il nuovo governo sembra deciso a farcela e a prendere misure adeguate per prevenire l’estendersi su scala nazionale della rivolta. Il primo provvedimento ha istituito aumenti sul prezzo del carburante e al contempo ha varato la diminuzione del 25% dello stipendio di tutti i membri eletti alle Camere di rappresentanza politica. Ha poi immediatamente riformato il servizio pubblico dei trasporti mettendo  a disposizione un grande numero di pulmini in ogni parte del Paese.

 

La sfida più grave rimane la lotta contro la corruzione, diffusa a tutti i livelli. In un povero villaggio del Sud, un insegnante in pensione racconta che qualche riccone riesce anche a noleggiare per conto proprio una nave petroliera senza controllo statale. Pur non certi della veridicità della notizia, il fatto testimonia l’enorme diffidenza che circonda il governo sull’aspetto della corruzione.  

 

La speranza non è venuta meno e nonostante gli attentati nelle chiese si prega molto. La comunità ecclesiale, finora poco aperta ai dialoghi sia nel campo ecumenico che interreligioso, prende coscienza che questa è la sua ora e la sua nuova missione, a cui non può sottrarsi.

Per ora il discorso ragionevole, chiaro e deciso del nuovo presidente sembra avere calmato le minaccie di nuove rivolte. Se questo mentre nella gente si fa strada una coscienza nuova: il Nord, con altipiani propizi all’agricoltura e all’allevamento di bestiame e colle sue risorse minerarie, non può vivere senza il Sud, più industriale e ricco di petrolio, che però dipende molto dal Nord per gran parte dei suoi approvvigionamenti. Su questa speranza si cerca di costruire.

 

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