Riciclaggio, droga e azzardo: gli affari della mafia a Roma
Riciclaggio, traffico di droga e gioco d’azzardo sono le principali aziende su cui le mafie laziali, negli ultimi decenni hanno costruito potere e patrimoni ingenti. Dopo anni di affiancamento ai clan tradizionali provenienti dalle regioni del Sud Italia le associazioni criminali nel Lazio hanno assunto una loro peculiare fisionomia. A rilevarlo è il terzo rapporto sulla legalità dell’economia stilato dall’università Luiss: "Mafie bianche:la morsa del ricilaggio sul tessuto economico di Roma". I recenti fatti di cronaca legati all’operazione "Mondo di mezzo" mostrano la capitale come un vero laboratorio delle mafie, dove si sono imposti due modelli di infiltrazione: quello da esportazione e quello della convivenza, fino all’estromissione dei clan, se così vogliamo dire, importati. Il primo modello lavora sul trasferimento di ingenti capitali dalle terre d’origine della famiglia criminale al Lazio ed è questo il caso della camorra che attraverso una serie di pizzerie e di bar ha imposto un marchio e al contempo ha riciclato denaro proveniente da attività illecite. L’altro modello invece nasce dalla collaborazione tra clan di antica storia localizzati e di importazione, con famiglie mafiose locali, come è accaduto ad Ostia dove una famiglia criminale ha convissuto per anni con un clan siciliano, acquisendone tecniche intimidatorie e modelli economici illegali fino a prenderne il posto. Una nota comune, confermata anche dall’ultima operazione delle forze dell’ordine, è la stretta collaborazione delle cosche con imprenditori, pubblica amministrazione ed esponenti politici.
Sono i numeri a disegnare l’inquinamento dell’economia laziale. Il Lazio con 9.188 segnalazioni si piazza al secondo posto, dopo la Lombardia nella relazione dell’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia che segnala i flussi anomali di denaro. I bonifici verso territori e paesi a fiscalità privilegiata, cioè i paradisi fiscali, sono stati nel 2013 quasi seimila. Le operazioni finanziarie segnalate alla Direzione nazionale antimafia rivelano collegamenti con la ‘ndrangheta e ne fanno una regione di spicco nelle indagini investigative, come nelle denunce e negli arresti per riciclaggio e concussione. Anche nella statistica sugli arresti e le segnalazioni per traffico di droga e sequestri di sostanze stupefacenti il Lazio detiene le prime posizioni. In crescita esponenziale sono poi le imprese che investono nelle slot machine: + 34 per cento rispetto al 2012, con 142 società di gestione.
Paola Severino, già ministro della giustizia e docente di diritto penale dell’ateneo romano commentando i dati sottolinea con sgomento il permeante inquinamento dell’economia e del tessuto sociale «in un territorio che si credeva incontaminato, mentre i modelli importati da altre regioni si connotano e mettono radici adattandosi, acquistando attività commerciali di cui si sconoscono i proprietari». Richiama Confidustria e Confcommercio ad esporsi con maggiore decisione contro queste collusioni silenziose, perché «il silenzio consente di operare in libertà e di non avere interferenze», mentre servono le denunce, i sequestri e le confische come tracce di legalità importante, «una legalità fatta di storie che andrebbero raccontate fin dall’asilo».
La cifra di Roma, rimane comunque «la complessità» secondo Giuseppe Pignatone, procuratore della Repubblica nel capoluogo capitolino, che rifacendosi ai dati del dossier ricorda le confessioni di un collaboratore calabrese che divideva il mondo in due parti: «quello che è Calabria e quello che non lo è ancora ma lo diventerà», proprio a sottolineare la strategia di permeazione nel territorio capitolino in molteplici ambiti, dal commercio all’edilizia ai negozi di lusso fino alle connivenze della pubblica amministrazione. «Il fenomeno delle mafie bianche è molto diffuso e aggredisce in modo sotterraneo, affatica l’economia sana e fa prosperare quella sommersa. I meccanismi vengono alterati perché la società civile metabolizzi queste nuove realtà». Non manca un commento sul sistema giudiziario e alle attese infinite delle sentenze che consentono all’inquisito di continuare ad acquisire incarichi, appalti, commesse, come se «il processo diventasse una delle inefficaci trincee del “Deserto dei tartari”».
Cosimo Di Gesù, comandante del nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza di Roma ha chiamato in causa i professionisti, invitandoli a fare dei loro studi dei presidi di legalità. La gestione di flussi di denaro che transita tra le loro mani dovrebbe interrogarli sull’inquinamento del mercato reale e sulle infiltrazioni nel tessuto economico e finanziario. «In una delle ultime indagini abbiamo scoperto che cinque ultraottantenni o ultrasettantenni senza reddito avevo intestate ben 400 società e queste persone erano individuabili, erano clienti. Sono decine poi i rogiti che si svolgono in assenza delle parti per non parlare dell’acquisizione di società di camorra e ‘ndrangheta nel basso Lazio. Per tutte queste operazioni servono professionisti della finanza che prestano le loro conoscenze alla malavita». Il comandante sottolinea la necessità di individuare per i reati di riciclaggio non solo responsabilità civili ma anche penali, perché la frode fiscale oggi nasconde spesso attività con ben altra natura.
Il rapporto della Luiss non fa sconti neppure ai giornalisti preoccupati di dare notizia della cronaca immediata e non di raccontare nel tempo gli sviluppi di un sequestro di beni, di una gestione controllata di un’attività. Sono più i processi nascenti che occupano i media e non gli effetti e le analisi delle metodologie di infiltrazione e di conquista di un territorio. «Andrebbero raccontati i casi di successo nella gestione dei beni confiscati a lungo termine, gli episodi di ribellione e partecipazione civile perché c’è anche una vittoria dello Stato che deve incoraggiare tutti per non restare schiacciati solo dall’atrocità dell’evento senza misurarne i reali effetti nel tempo».