Riccardo Bonacina, una vita appassionata

Il nostro grazie al fondatore di Vita, punto di riferimento del giornalismo attento a ciò che vale davvero. Capace di una lettura profonda della società, come nel caso dell’azzardo di massa quale grande questione culturale che spiegava citando Baudelaire (pubblichiamo l’estratto di una sua intervista tratta dal libro inchiesta “Vite in gioco”)
Riccardo Bonacina foto Vita

Cordoglio e commozione unanime per la scomparsa di Riccardo Bonacina, fondatore nel lontano 1994 del gruppo editoriale Vita non profit, un media (magazine e sito) del Terzo settore e della responsabilità sociale. Tra le tante preziose testimonianze pubblicate in queste ore, a cominciare da quella dell’attuale direttore di Vita, Stefano Arduini, si consiglia il ricordo di Lucio Brunelli pubblicato su Vatican news, che permette di andare all’origine di una scelta di vita radicata in gioventù in quella “compagnia” che resta per sempre. «Passione per la realtà, ironia, libertà di pensiero, erano i suoi tratti umani e professionali. Il segreto della sua umanità però – scrive Brunelli, già direttore di Tv2000 – era l’esperienza di fede che viveva con una purezza commovente e che aveva riscoperto ed abbracciato con entusiasmo negli anni giovanili».

Di certo l’esperienza nel settimanale “Il Sabato” è stata una fucina che ha generato e segnato l’avventura umana di tanti giornalisti che poi hanno intrapreso strade diverse. Un tratto evidente nella vita di Bonacina è stato il suo coinvolgimento totale, fino alla fine dei suoi giorni terreni, in ciò che credeva giusto.

Tra i tanti cantieri aperti, quello sulla questione del contrasto all’azzardo di massa è stato condiviso con Città Nuova grazie all’impegno comune di No Slot, promosso da Vita e Slot Mob, sostenuto anche dal nostro gruppo editoriale. Per ricordare Riccardo Bonacina, sottolineando la profondità della sua capacità di lettura della realtà, pubblichiamo qui di seguito l’estratto del testo di una sua intervista pubblicata all’interno del volume “Vite in gioco. Oltre la slot economia” edito nel 2014 da Città Nuova, per offrire le ragioni e il metodo di una società civile capace di ribellarsi agli idoli del profitto.

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Incontriamo Riccardo Bonacina, direttore del gruppo editoriale Vita, che ha promosso la campagna No Slot in tutta Italia assieme alla “Casa del giovane” di Pavia. Il logo di No Slot sembra un simbolo luddista, con un martello brandito da un braccio deciso a spaccare la macchinetta mangiasoldi. Provate a farlo, penso, e vi metteranno in galera perché l’unico peccato che resta non perdonato è quello contro la proprietà privata e i suoi interessi.

La domanda è volutamente provocatoria: non esiste un’impostazione proibizionista e farisea nel pretendere una legge restrittiva sul gioco d’azzardo? Visto che esiste ed è così diffuso, non è meglio che sia autorizzato e sottoposto a controllo per poterne ricavare dei soldi con le tasse?
È forse utile ricordare che l’articolo 718 del Codice Penale italiano punisce con l’arresto da tre mesi a un anno e con l’ammenda non inferiore a 206 euro chiunque tenga un gioco d’azzardo, ovvero lo agevoli, fuori dei casi di casinò autorizzati e delle navi da crociera naviganti fuori dal bacino del Mediterraneo.

L’articolo 720 punisce chi, senza concorrere nel reato ex articolo 718, è colto a partecipare a un gioco d’azzardo. La pena è l’arresto fino a sei mesi o, in alternativa, l’ammenda fino a 516 euro. Se io e lei giocassimo a un gioco antico e a soldi in un bar, diciamo a morra, saremmo penalmente perseguibili. Ricordo questo dato perché sia a tutti evidente che il fariseismo sta tutto nel campo di chi, dal 1997 in poi, in un crescendo senza argini, ha inventato il “gioco d’azzardo legale”. Questa invenzione linguistica si fondò proprio sulla promessa che il gioco d’azzardo, che era del tutto clandestino, sarebbe così emerso concorrendo anche a sostenere le entrate erariali dello Stato.

E, invece, cosa è accaduto davvero?
La cronaca si è incaricata di dimostrare che la gran parte di quella promessa non si è avverata. I clan mafiosi continuano a mettere le mani sul gioco d’azzardo che oggi chiamiamo legale, l’usura cresce accanto a slot, Vlt, ecc. Quando poi parliamo di questo problema dobbiamo ricordarci che va oltre il gioco e il denaro sprecato. Parliamo di quella dignità e di quella speranza di cui ogni turpe lucrum (così lo chiamavano un tempo) si nutre, pervertendole. Prima del denaro, della malattia o della dipendenza, è di questa dignità e di questa speranza, della loro “cura” che dovremmo farci carico, ed è esattamente questo che papa Francesco ha colto, a noi pare. Dunque del rapporto che noi, donne e uomini non giocatori, intratteniamo con la città in cui abitiamo e con gli spazi in cui viviamo. Spazi in cui ci riconosciamo sempre meno e sempre meno usiamo per quello che sono: luoghi di incontro e di confronto, non di usura e rovina. Per questa ragione, quella dell’azzardo legale e di massa è una delle grandi questioni dei nostri giorni. È la forma ipermoderna, strisciante perché legalizzata, del narcotraffico. Crea dipendenza, ma assoggetta al suo degrado anche chi non è dipendente. Muove flussi ingenti di denaro e corrompe le ultime speranze di una vita vera, degna di essere vissuta; è una piaga, nessuno può credersene immune. Ma è anche l’occasione concreta da cui ripartire.

Si può colpire la diffusione dell’azzardo senza agire sulle cause remote, e cioè sull’impoverimento generale che colpisce le fasce deboli che non sanno come trovare i soldi per andare avanti?
È in gioco una grande questione culturale, direi una grande battaglia culturale tutta da giocare. L’azzardo è un idolo, scriveva Baudelaire. Proprio quando crediamo di dominarlo – anche noi, qui, che scriviamo o leggiamo – ci rivela il suo vero volto: il gioco, non il giocatore, è il vero padrone del gioco. Non c’è libertà in questo azzardo. Ecco cosa scriveva Baudelaire, con parole che oggi vorremmo dedicare non certo alle vittime, ma ai tanti commentatori che a forza di elogiare questa non-libertà ne sono diventati schiavi:

«Pensavate davvero di potervi burlare, ipocriti confusi, del padrone, e di barare al gioco e che fosse normale aver due premi insieme, il Cielo e la ricchezza?».

Come si esce da questa contraddizione?
L’azzardo è un problema che non richiede innanzitutto una cura e non si risolve con la sua sanitarizzazione, ma richiede una messa in campo di forze che sappiano, e vogliano, stravolgere il sistema a livello culturale. Perché l’uomo non può essere schiacciato da queste logiche di potere che sottilmente riescono a entrare e stravolgere l’intera scala di valori, senza che la stessa società se ne renda conto, colpendo l’intero sistema economico del Paese, alterando le logiche del mercato e impoverendo un sistema già colpito dalla crisi. Questo è il frutto di una cultura malata, che affida il successo alla sorte, al caso, alla spasmodica voglia di arricchimento.

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