Ricatti e malintesi per un dolore sottochiave
Dai forti echi pirandelliani, dai quali il testo trae ispirazione, la breve commedia “Dolore sottochiave”, di Eduardo De Filippo, nata come radiodramma nel 1958 (con lo stesso autore e la sorella Titina), è un atto unico inserito nella raccolta “Cantata dei giorni dispari”. Fu messo in scena per la prima volta nel 1964 (insieme a “Il berretto a sonagli” di Pirandello) al Teatro San Ferdinando di Napoli. In questo stesso teatro ha debuttato nel giugno scorso per il Napoli Teatro Festival Italia (e ora in tournée) nell’allestimento del regista Francesco Saponaro.
Storia bizzarra, dolorosa e sarcastica, quella di Lucia, zitella di casa, e del fratello Rocco, in perenne viaggio d’affari. Durante uno di questi muore la moglie dell’uomo e, per paura che egli soffra troppo e che, per disperazione, si lasci andare a un gesto incontrollato, la sorella gli nasconde per un anno la notizia del decesso adducendo che la consorte è gravemente malata e costretta a non poter ricevere alcuna visita poiché ogni minima emozione potrebbe esserle fatale. Mantenendo chiusa a chiave la porta della “moribonda”, la cognata proibisce l’accesso alla stanza fino a quando, non resistendo alla limitazione, in uno scatto di nervosismo l’uomo forza la porta e scopre la verità. Il suo dolore, che sarà equivocato per quello di un vedovo prima dalla sorella, poi da un invadente vicino di casa, presto rivelerà ben altro motivo: l’aver, cioè, sciupato l'innamoramento nato nel frattempo nei riguardi di un’altra donna che però l’ha abbandonato non tollerando più l’attesa dell’uomo inconsapevolmente vincolato ancora alla moglie della quale egli, in tutto quel tempo, desiderava la morte.
Di questa folgorante sintesi del teatro di Eduardo, Saponaro ne fa un gioiello farsesco e amaro di morte, frode, beffa, allegria e disperazione, grazie anche agli appropriati interpreti: Tony Laudadio,Luciano Saltarelli eGiampiero Schiano. Di sintonia eduardiana, reduce dal grande successo di “Io, l’erede” con attori spagnoli, Saponaro dosa sapientemente commedia e tragedia, sarcasmo e cinismo, servendosi anche di un prologo,detto da un becchino con la lanterna in mano, ispirato alla novella pirandelliana “I pensionati della memoria”, racconto in cui viene inscenato un confronto con le ombre dei morti che «…amaramente ragionano su le vane illusioni della vita, di cui essi al tutto si sono disillusi». «A me, tutti i morti che accompagno al camposanto, mi ritornano indietro – esordisce nel suo monologo in napoletano lo “schiattamuorto”–. Fanno finta d'esser morti, dentro la cassa. O forse veramente sono morti per sé. Ma non per me, vi prego di credere! Quando tutto per voi è finito, per me non è finito niente. Se ne rivengono meco, tutti, a casa mia. Ho la casa piena. Voi credete di morti? Ma che morti! Sono tutti vivi. Vivi, come me, come voi; più di prima. Soltanto – questo sì – sono disillusi». E ad evocare quel mondo da dove sembrano riaffiorare i personaggi per prendere vita sulle assi del palcoscenico, sono due inquietanti porte a forma di bara, soglia di un aldilà e di un aldiquà, collocate nel buio della vuota scena (di Lino Fiorito) dove al centro campeggia un tavolo apparecchiato per il pranzo. I piatti poi buttati e frantumati, i cui cocci rimarranno a terra, segneranno l’infrangersi delle illusioni in cui i due protagonisti hanno, ciascuno a modo loro, vissuto.
Eludendo il rischio macchietta, si rivela felice l’aver affidato la parte di Lucia a un attore, Luciano Saltarelli, il cui ruolo en travesti conferisce ulteriore motivo di finzione alla trama di malintesi e ricatti. Saponaro rivela una sapienza poetica che asseconda quella drammaturgica di Eduardo, nel virtuoso miscelare la flemma all'ira, l'amaro al dolce, il dramma all'interno d'un contenitore comico, armonizzando le atmosfere buie, espressioniste, crepuscolari. E chiude con una sommessa reminiscenza chiamando i fantasmi di Eduardo e Titina, dei quali ascoltiamo la loro voce nella registrazione radiofonica originale del ’59.
Di “Pericolosamente”, scrive Saponaro: “Scritto nel 1938, la commedia ruota attorno a una rivoltella (…) vero e proprio strumento di tortura coniugale e rimedio alle bizzarrie improvvise di una moglie bisbetica. L’atto unico, dall’apparente fulmineità di uno sketch, grande successo del Teatro Umoristico dei De Filippo, gioca tutto sul classico litigio coniugale. Ogni volta che Dorotea dà sfogo alle sue intemperanze, Arturo, per ripristinare l’ordine familiare, impugna la rivoltella caricata a salve e le spara, scatenando la comica reazione di terrore da parte dell’ignaro amico Michele appena rientrato a Napoli da un lungo viaggio di lavoro”.
“Dolore sotto chiave” di Eduardo De Filippo, con Tony Laudadio, Luciano Saltarelli, Giampiero Schiano, regiaFrancesco Saponaro, scene e costumi Lino Fiorito, luci Cesare Accetta, suoni Daghi Rondanini. ProduzioneFondazione Campania dei Festival, Napoli Teatro Festival, Italia, Teatri Uniti, Università della Calabria. Al Piccolo di Milano, fino al 19/10; a Roma per “Le vie dei Festival”, teatro Il Vascello, il 30/10.