Resurrezione e rinascita, un “imbroglio” di parole

Alcune riflessioni sulla metamorfosi e il ritrovamento della vita là dove c’era la morte.
Disegno di Mara Torricelli

Rinascere e risorgere sembrano sinonimi. In realtà le situazioni in cui si muovono sono molto diverse. Diciamo rinascere quando, dopo un buio e una distruzione, dalla medesima terra in cui c’è stata una fine nasce un piccolo germoglio, che, prima timido e verde, si erge poi con forza e, incredibilmente, riprende forma. La forma che pensava di aver perso e annichilito per sempre. 

È una ri-nascita, una nuova nascita, che può essere anche diversa, da quella precedente. Gli uomini rinascono a una vita nuova, rinascono dopo una fine, sia essa una relazione o un frammento di vita.

Il concetto di rinascita è qui assimilato ad una metamorfosi: il cambiamento ci fa essere diversi. Una nuova vita, un luogo diverso, un nuovo lavoro, una nuova consapevolezza, ci mutano d’abito e ci fanno essere un corpo rinnovato, in una veste diversa. Ri-nasciamo, ad altra vita. 

D’altra parte, come molti pensano, è per rinascere che siamo nati. Dice Pablo Neruda: «Nascere non basta/È per rinascere che siamo nati/Ogni giorno». Rinascere, dunque, significa diventare di nuovo, stesso genere (umano, vegetale, ma forma anche diversa da prima).  

Diverso è il concetto di resurrezione; essa non rappresenta un nuovo inizio assoluto, non smentisce quanto accaduto precedentemente nella vita della persona, ma «si riallaccia» al corpo precedente, per creare qualcosa di radicalmente nuovo.

La parola deriva dal latino surrigo, mi alzo di nuovo in piedi, dopo la morte. Questa non è una semplice rinnovazione, ma una vera nuova-nascita, e prevede che ci sia un legame materiale con il corpo precedente. 

È più accettabile credere ad una rinascita-metamorfosi, ma è difficile, per la nostra mente, cogliere il mistero secondo cui, dopo la morte fisica, la stessa materia organica riprenda vita. Talmente difficile che questa visione è consegnata alla scienza che non si può spiegare: la magia o la religione. 

Lasciamo indietro le varie arti magiche che, nei secoli, hanno proposto immagini di improbabili rinascite, e che oggi, sono proposte nella veste accettabile del genere fantascienza (che dire del celebre “Dottor Jekyll e Mister Hyde”?) e occupiamoci invece del mistero religioso, che, solo, dà un senso ad un fenomeno scientificamente impossibile. 

È qui, nella fede e nella religione, che troviamo l’esempio della resurrezione. Presente in tutti i miti e le religioni più antiche, dagli Egiziani in poi, la resurrezione è spiegata solo con il senso del mistero e della – insondabile – fede. 

Nel cristianesimo, Cristo si fa uomo. Muore – essendo uomo carnale – e viene addirittura sepolto… Ma, dopo tre giorni, risorge. Qui ci fermiamo. Come “risorge”? Eppure, la storia dice che la tomba era aperta e il corpo non c’era. Dicono anche che alcuni prescelti, abbiano parlato con Cristo, dopo. 

Se sorvoliamo su quello che la scienza ci offre (poco a dir la verità, giusto il tempo di accettare che esistono casi di morte apparente, in cui il corpo cade in una specie di letargo, dove gli organi si addormentano, senza spegnersi per poi riprendere per nulla intaccati dalla breve mancanza di vita), rimane solo il miracolo. 

Miracolo, sì. D’altra parte, la parola “miracolo” è associata sempre ad una resurrezione insperata. Ed è la Natura stessa, che, ancora una volta, ci offre degli esempi, metafore di vita materiali e comprensibili: «Il tronco pareva già morto,/piegato sul botro», «E tutto mi sa di miracolo;/e sono quell’acqua di nube/che oggi rispecchia nei fossi/che pure stanotte non c’era». 

È il tronco dell’albero che poco tempo prima sembrava morto, quasi ripiegato su sé stesso, ora riprende vita. Un miracolo, appunto. È solo l’esempio di una poesia del ‘900, Specchio di S. Quasimodo: specchio che parla dello stupore di ritrovare la vita, là dove c’era la morte. 

Dunque, torniamo a trovare risposte solo nel cuore della Natura, e dell’antropologia: Pasqua, è una festa religiosa ma anche una festa della Natura e non è un caso che sia stata collocata nel periodo primaverile. 

In quel momento della primavera inoltrata, a un tal punto dal solstizio d’estate e ad una tal distanza dall’equinozio, è detto: la natura risorge, e quel seme, di cui abbiamo parlato all’inizio, si rialza e riprende vita. Nasce da una morte, tale, e così, creduta da tutti. 

La Natura risorge, dopo la morte dell’inverno: a tempo debito, assume un corpo nuovo, una veste diversa. Come recita questo brano del Cantico dei Cantici: «Vieni, è Primavera; sugli alberi fioriscono le gemme, la linfa risale al cielo, torna a cantare l’usignolo. Il nostro diletto parla, alzati amata mia, bella mia vieni, poiché l’inverno è passato, la pioggia è cessata, se ne è andata, ritornano i fiori sulla terra, il tempo del Canto è venuto». 

Il conflitto, secondo me, delle due parole, rinascere e risorgere, non si placa. La Natura rinasce, perché è il ciclo naturale che sempre ritorna, ogni anno. La resurrezione, invece, ha qualcosa in più: essa avviene una volta e per sempre. Così come i miracoli non si ripetono. Quel miracolo con cui si guarda, una Pasqua che è resurrezione: Cristo ora è risorto a nuova vita, e sarà sempre uno di noi. 

Dall’alto dei cieli, alla terra.

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