Restituiamo alla scuola il suo ruolo educativo

Con la didattica a distanza, e la scuola in emergenza, l'educazione intesa in senso ampio, delegata alle istituzioni scolastiche, si è fermata o quasi. Bisogna cambiare e coinvolgere i vari attori e le istituzioni territoriali. La parola ai lettori.
Bambini a scuola con la mascherina per proteggersi dal Covid. (Alessandra Tarantino/AP)

Caro Direttore,

alla fine di questo secondo anno di scuola in emergenza sanitaria, è doverosa qualche riflessione. Ma non tanto sulle strategie didattiche o sui supporti tecnologici cui ha fatto ricorso, su cui già è stato detto tantissimo, quanto sull’organizzazione scolastica vera e propria.

Nella pandemia tutti si sono resi conto che, quanto ad educazione, fermata la scuola si è fermato tutto: non solo l’istruzione in senso stretto (discipline curricolari) o la socializzazione, ma anche ogni altro tipo di educazione: affettiva, alimentare, stradale… anche esse delegate in toto alla scuola. Ma questa progressiva trasformazione della scuola in una sorta di contenitore educativo onnicomprensivo non va affatto bene. Era una cosa già ben nota, ma la crisi dovuta al Covid lo ha reso assolutamente evidente a tutta l’opinione pubblica.

Certamente durante l’emergenza sanitaria non si poteva far molto, ma adesso sì: si può e si deve. È necessario un vero e proprio cambio di impostazione che faccia passare la società italiana dalla colpevole e deresponsabilizzante delega educativa in cui è scivolata ad un “villaggio educativo” in cui ciascuno svolga quella parte di compito educativo che gli è propria. Perché se l’educazione dei giovani è compito primario della famiglia, in seconda battuta lo è di tutta la società. Come dice, infatti, un saggio proverbio africano “Per educare un bambino ci vuole un villaggio”. Ed è vero.

Si provveda quindi a livello ministeriale: si tratta di responsabilizzare e attivare corpi intermedi, associazioni, realtà varie (culturali, volontariato, scientifiche, lavorative…), ma anche Istituzioni presenti sul territorio nazionale e locale a fare la propria parte nella consapevolezza che tutti, ma proprio tutti, accanto alla loro specifica “mission”, qualsiasi essa sia, hanno anche una inalienabile “mission” educativa. Educazione sanitaria, educazione alla pace, ambientale… la impartiscano coloro che sono competenti e operano nel settore. E non (solo) perché “costretti” da una auspicabile direttiva ministeriale orientata in questo senso, ma perché sono consapevoli del loro dovere educativo nei confronti dei giovani. Ovviamente adeguatamente preparati, con monte-ore, metodi e contenuti ben definiti e monitorati.

Ma, fondamentale questo, non per libera iniziativa di Collegi docenti particolarmente volonterosi e nemmeno nelle ore curricolari (e quindi nuovamente su responsabilità e carico della scuola e a discapito delle lezioni scolastiche vere e proprie), ma di default, come dovere proprio di tutti gli attori presenti sul territorio. Ben programmate “esperienze educative diffuse” anche presso teatri, musei… centri sportivi, impianti industriali (ad esempio per la sicurezza sul lavoro, per i diritti dei lavoratori), cooperative sociali (per integrazione, accoglienza, solidarietà…) dovrebbero obbligatoriamente rientrare nel curriculo di ogni studente italiano e potrebbero avvenire nei pomeriggi o al sabato a completamento (o sostituzione) dei “compiti per casa”.

Cambiamento non da poco, da preparare gradualmente, organizzare bene, monitorare, verificare e ricalibrare, ma assolutamente necessario.

E la scuola? Che compito resterebbe in questo contesto alla scuola? Il suo compito proprio e cioè educare i giovani attraverso il patrimonio culturale (umanistico, tecnico-scientifico, artistico), guidarli a decodificare le esperienze della vita, dare loro un senso e analizzarle criticamente, aiutandoli a superare la frammentarietà per costruire sistemi di pensiero forti.

Marina Del Fabbro

Insegnante, presidente sezione UCIIM di Trieste

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