Resta ancora un ibrido
È opinione diffusa che non esista la legge elettorale perfetta. Una legge, cioè, in grado di garantire governabilità e rappresentanza, e che assicuri pari condizioni di concorrenza a tutte le formazioni politiche in lizza, senza favorirne alcune e sfavorirne altre.
E soprattutto rispettosa della nostra Charta repubblicana e approvata dal Parlamento con il consenso più ampio possibile. Se solo esistesse, andrebbe blindata e fatta rimanere in vigore per più legislature, e magari essere inserita nella Costituzione.
Nella storia politica del nostro Paese ne abbiamo sperimentate tre. Fino al 1993, gli italiani sono andati al voto con un sistema proporzionale con soglia di sbarramento: un sistema che perfetto certamente non era (i governi nascevano e cadevano come pere), e che è durato quasi mezzo secolo. Dal 1993 si è poi votato con la legge Mattarella, un sistema ibrido (in parte maggioritario uninominale e in parte proporzionale). Dal 2005 infine siamo andati due volte al voto con la legge Caldiroli (il Porcellum), dichiarata poi, nel 2013, incostituzionale da parte della Consulta, per l’abnorme premio di maggioranza e la lunghezza delle liste bloccate che prevedeva. Anche la legge approvata nel 2015 (l’Italicum) è stata rimaneggiata dalla Corte costituzionale, e la combinazione di quanto sopravvissuto di quella legge (valida solo per la Camera) con l’esito del referendum che ha mantenuto in vita il Senato, ha richiesto necessariamente una nuova riforma per rendere omogenei i criteri di elezione per le due Camere. Abortito il primo tentativo (il Tedeschellum), che sembrava vicino all’approvazione (anche da parte del M5S), è andata meglio al secondo tentativo (il Rosatellum 2) che ha prodotto la legge con cui andremo a votare in primavera. È il “rovescio” del Mattarellum (per l’inversione delle proporzioni tra quote maggioritarie e proporzionali), ma è altrettanto ibrido quanto il suo “diritto”. E lascia interdetti su molti versanti, anche per il metodo con cui si è giunti all’approvazione (inclusi alcuni voti di fiducia). Nessuna discrezionalità lasciata agli elettori: avremo ancora un Parlamento per due terzi di nominati, persino con residenti in Italia eletti all’estero.
L’Autore è esperto di sistemi politici, già dirigente scolastico e amministratore pubblico