Resistenza agli antibiotici, un’epidemia silenziosa
Anche quest’anno, nella data tradizionale del 18 novembre, si è svolta in tutti i Paesi europei la “giornata degli antibiotici”. Una serie di iniziative, campagne di comunicazione ed eventi scientifici che mirano ad aumentare la consapevolezza della diffusione di resistenze agli antibiotici, sempre più diffuse nei germi che vivono nell’ambiente, e dei rischi derivanti dall’uso inappropriato di questi farmaci. Si parla, secondo la definizione del Centro europeo per il controllo delle malattie (Ecdc), della «capacità dei batteri di combattere l’azione di uno o più antibiotici».
Da anni si continua a parlarne come di una minaccia emergente alla salute umana: questo fenomeno, che rende di fatto molto difficile o impossibile curare le infezioni in pazienti fragili o in condizioni critiche, ha un impatto sulla salute paragonabile a quello di influenza, tubercolosi e HIV/AIDS sommate insieme.
Ogni anno nei Paesi europei si registrano circa 35 mila morti legate ad infezioni sostenuti da germi resistenti ad uno o più antibiotici (Mdro): un dato in crescita, soprattutto per quei decessi causati da germi resistenti anche ad antibiotici “last line”, ossia quelli di più recente introduzione e ricerca, che sono aumentati del 50% fra il 2016 e il 2020.
Una vera e propria “epidemia silenziosa”, che ha fatto sentire il suo peso anche nel rendere più gravi le conseguenze dell’infezione da Sars-COV-2 nei pazienti più deboli. Le cause sono sfaccettate e complesse; in molti Paesi gli antibiotici vengono diffusi nell’ambiente naturale attraverso gli scarti non correttamente smaltiti delle attività chimico-farmaceutiche e, in maniera ancora più rilevante, entrano nella catena alimentare attraverso l’utilizzo intensivo negli allevamenti. Queste molecole, permanendo nell’acqua e nel suolo, avvantaggiano i batteri capaci di resistere al loro effetto e producono ceppi adattati, per meccanismi di selezione naturale.
Batteri anche normalmente innocui diventano quindi pericolosi perché sono incontrollabili con le terapie anti-infettive, specialmente quando entrano in contatto con pazienti sottoposti a trapianti o cure oncologiche, privi quindi di difese immunitarie valide. Inoltre, i batteri ambientali possono “trasmettere” le informazioni genetiche di resistenza ad altri patogeni, rendendoli a loro volta virtualmente incurabili.
Un altro modo con il quale i microrganismi diventano Mdro è l’utilizzo non corretto di antibiotici, sia in ambito ospedaliero sia in comunità: trattamenti non necessari di banali affezioni respiratorie, cicli terapeutici incompleti o a dosaggi insufficienti, utilizzo di molecole di ultima generazione per trattare germi sensibili a principi attivi più semplici. Sono i principali e più frequenti errori che permettono ai germi resistenti di selezionarsi e replicarsi a spese di quelli più sensibili.
Nel tempo, si sviluppa all’interno del paziente una flora microbica adattata agli antibiotici con i quali è entrata in contatto: questi germi, nel momento in cui l’organismo si trova sottoposto a cure intensive o a situazione di grande fragilità (come un trapianto, un’altra infezione acuta, una malattia oncologica o un politrauma) possono prendere il sopravvento con forme infettive aggressive difficili da trattare, fino alla sepsi.
Questi quadri hanno un’alta probabilità di causare gravi danni o la morte del paziente e sono responsabili dell’elevato numero di vittime registrato ogni anno. Si stima che nei prossimi due decenni il conto annuale delle vittime di queste infezioni possa superare i 50 milioni in tutto il mondo.
Una minaccia globale quindi, che affonda le sue radici e le sue possibilità di prevenzione nell’approccio “one health“: un paradigma sanitario cerca di prendere in considerazione le interconnessioni fra l’ambiente, le specie viventi e l’uomo, riconoscendo il ruolo di tali determinanti nell’influenzare la salute delle popolazioni e dell’individuo. Secondo questo punto di vista, la salubrità dell’ecosistema e degli altri esseri viventi è un elemento fondamentale nel progettare campagne di promozione della salute e nel controllare gli effetti nocivi di fattori patogeni nell’uomo. Ed è proprio da questo approccio integrato che originano le raccomandazioni, rivolte a ciascuno di noi, per contrastare il fenomeno e ridurne l’impatto sulla nostra salute.
Le azioni da fare riguardano sia l’utilizzo nel settore zoo-profilattico e nell’allevamento, sia in quello terapeutico sull’essere umano. Per le attività ospedaliere sono attivi da tempo, e sempre più diffusi in tutti i sistemi sanitari, complessi programmi integrati di prevenzione delle infezioni correlate all’assistenza, che comportano campagne informative ed educative per operatori e pazienti sulle misure efficaci per il controllo di tali germi. Screening all’ingresso, procedure di isolamento per i pazienti portatori di tali germi, igiene ambientale e igiene delle mani, adozione di protocolli per la prevenzione della colonizzazione delle superfici assistenziali.
Molti sistemi sanitari regionali hanno messo a punto un sistema di “stewarship antibiotica”, che prevede l’assistenza continua di una équipe di esperti (team per la prevenzione delle infezioni correlate all’assistenza) che opera a contatto con i professionisti clinici per la prevenzione delle infezioni nosocomiali e per garantire l’utilizzo corretto di antibiotici, ottenendo ottimi risultati nella riduzione della diffusione di Mdro e del tasso di infezioni. Tali équipe si interfacciano anche con la medicina territoriale al fine di fornire ai medici di base un adeguato supporto, sia formativo sia operativo, per garantire di scegliere “la molecola giusta al momento giusto”.
Gli altri tasselli del puzzle della prevenzione spettano a ciascuno di noi: possiamo fare molto per la nostra salute, a partire da uno stile di vita sano, riducendo l’esposizione a fattori nocivi (obesità, fumo, sedentarietà e abuso di sostanze sono fattori che incrementano sia la probabilità di infezione sia la loro gravità), praticando l’igiene delle mani e aderendo alle misure preventive durante la permanenza negli ambienti sanitari.
Altrettanto importante è evitare l’uso di terapie “fai-da-te”, consultandosi con i medici e gli altri professionisti sanitari anziché attingendo alla pletora di informazioni reperibili in rete, spesso non verificate e non facili da interpretare. Anche questo è parte dell’approccio “one health”: poche e semplici azioni, praticate da tutti, possono sempre fare la differenza per la salute nostra e delle persone che ci stanno a cuore.
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