Resilienza, la chiave per affrontare le difficoltà
Qual è il segreto della resistenza psichica? Paradossalmente è proprio una crisi o un evento critico a farci scoprire la nostra resistenza. Tantissime ricerche hanno tentato di definire quali siano gli aspetti che determinano la forza di resistenza, o anche spesso chiamata “resilienza”. Le domande più frequenti sono: è possibile accrescerla? Da cosa è determinata? Perché le persone reagiscono in modi così diversi agli eventi?
Karena Leppert sostiene che «si può imparare la resilienza». La costruzione di un potenziale di resistenza funziona al meglio nei primi dieci anni di vita; «anche gli adulti, però, in ogni momento della vita sono fondamentalmente in grado di imparare la capacità di resistenza», afferma Georg Kormann.
La resilienza è un termine ormai molto conosciuto che deriva da una caratteristica dei metalli. In ingegneria è la capacità di un materiale di assorbire energia di deformazione elastica, in psicologia è la capacità di far fronte agli eventi traumatici. Essere resilienti non vuol dire stare sempre bene: anche le anime più forti sono vulnerabili. Chi è resistente però non resta prigioniero della frustrazione, del dolore o della paura, ma si rimette in piedi; dopo le lacrime c’è la risalita. Essere resilienti, inoltre, non vuol dire necessariamente che si torni come prima o meglio di prima: significa che si è in grado di affrontare con successo le condizioni sfavorevoli, che ci si sa districare in mezzo alle situazioni, che si impara dalle contrarietà e che si è capaci di integrare anche le esperienze dolorose nella trama della propria storia di vita. D. Kilpatrick sostiene che anche quando le basi biologiche (genetiche) non sono favorevoli, una buona rete sociale di amici e conoscenti può alleggerire l’effetto di eventi traumatizzanti.
Come possiamo svilupparla? L’iperprotezione nei confronti dei più piccoli non aiuta la maturazione, mentre una giusta quantità di stress aiuta a sviluppare la capacità di reagire di fronte agli eventi critici della vita.
Nassin Nicholas Taleb definisce un concetto che va oltre la resilienza o la robustezza: l’antifragilità. È una condizione che ama la casualità e l’incertezza: l’antifragile trae beneficio dagli shock, dando luogo a qualcosa di migliore. Questo concetto viene collegato alla “crescita post-traumatica”: allenare l’antifragilità vuol dire imparare dall’errore, mettersi in una posizione di poter scoprire cose nuove dal caos, essere consapevoli dell’aleatorietà di tante variabili e stare al gioco in modo dinamico. L’innovatività guadagna dall’incertezza: tutto ciò che si blocca in etichette non evolve, l’antifragilità ci fa viaggiare nel caos traendone crescita. Taleb conclude il suo saggio sull’antifragilità ricordando che: «se non fosse per la fame il cibo non avrebbe sapore, i risultati sono insignificanti senza sforzi, così come gioia senza la tristezza, le convinzioni senza incertezza e una vita etica senza rischi personali».
Possiamo svilupparla anche da adulti: di seguito cinque passi per allenare la nostra resilienza e antifragilità:
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Incontriamo gli imprevisti della giornata come parte importante della quotidianità, chiedendoci che cosa si nasconde dietro quella novità.
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Affrontiamo la “crisi” non come un problema irrisolvibile: anche quando non si può far nulla per far scomparire le cose spiacevoli, si può comunque influire su come si interpretano queste crisi e su come si reagisce.
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Accettiamo che i cambiamenti facciano parte della vita e concentriamoci su ciò che si può cambiare: su ciò che dipende da noi.
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“Mettiamo tra parentesi” l’evento negativo: non è il nostro “tutto”, non generalizziamolo a tutta la nostra vita, ne è solo una parte o un momento.
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Agiamo con decisione: non mettiamo la testa sotto la sabbia, ma affrontiamo i problemi al meglio delle nostre possibilità.
Buon allenamento!